mercoledì 27 marzo 2013

La Perla della turca

Era una ragazza semplice, di quelle che sognano dietro ai libri e alle poesie, e se la vita è carogna non importa, una ragione buona per sorridere la trovi comunque.
A. Baricco

Vi avviso subito che stavolta l’ho presa un po’ alla larga. Quindi mettetevi comodi e non scoraggiatevi subito. Ci metterò un po’ ad arrivare al punto. Ma ci arrivo. Giuro.


Durante il mio ultimo viaggio mi sono ricordato quanto mi scappi spesso la pipì. La faccio ormai con la cadenza con cui la fa un levriero la domenica pomeriggio in giro per boschi che non hai mai visto.
La cosa inizia a diventare seria e preoccupante. Più passano gli anni più la mia autonomia si riduce drasticamente. Il che mi porta, quando sono in giro, o in viaggio o semplicemente fuori casa, a far visita a diversi bagni e alberi, pubblici e non (sia i bagni che gli alberi). La collezione inizia a prendere forma. Ho pisciato in bagni di Renzo Piano, Herzog e De Meuron, Zaha Hadid, Alvaro Siza, De Lucchi,  Botta,  Ghery, Foster, Libeskind, Koolhsas, Mies van der Rohe, Fuksas, Sejima e tanti altri (sia bagni che alberi).
Mi trovo quindi ad averne una discreta esperienza tanto che il mio livello di standard di qualità della progettazione di un cesso si è alzata esponenzialmente. 
Mi indigno letteralmente quando aprendo la porta verso l’interno questa sfiora la punta del water. 
Picchierei con violenza selvaggia quelli che posizionano il water su un gradino, per  far passare sotto i tubi, e tu ti trovi più in basso di 20 cm. 
Ucciderei quelli che ti costringono a pisciare in un metro quadro netto di spazio e fuori lasciano dei corridoi dove ci potresti passare con un cingolato.
Una cosa che amo fare quando gironzolo con lo sguardo mentre con le mani sorreggo la strumentazione è leggere le scritte che adornano e decorano le mura di questi piccoli luoghi fatati ed estranei allo scorrere del tempo (solo nei bagni non sugli alberi). Tralasciate la classiche, ormai banali, che non starei a ripetere per questioni di pudore, ogni tanto si  trovano alcune perle letterarie di grande finezza intellettuale e straripante ironia che ti costringono quantomeno  a sorridere. Per poi magari scoppiare a ridere un paio d’ore dopo, ripensandoci, così, senza ragione.
Ne consegue che la nostra vita è colma di piccole soddisfazione, sottili ironie, semplici gioie.
Io sono convinto che per essere davvero sereni non si possa aspettare che succeda qualcosa di incontestabilmente bello, utile, giusto, che ci metta nella condizione in cui abbiamo diritto inalienabile e dovere (o obbligo) di essere felici. Bisogna arrangiarsi, ogni giorno, e cercare di sorridere e trovare il buon umore nelle piccole cose, anche fosse una scritta “affrescata” sul cesso della stazione. La cosa bella è che queste piccole e semplici cose sono dappertutto. Non so, per esempio:

Si può trovare il buon umore mangiando. Lasciandosi sorprendere ogni volta da un sapore diverso, cercandone sempre di nuovi. E ancora di più scovando il posto giusto dove andare a cibarsi.
Quando cammini per chilometri sul lungomare di Valencia per stanare La Lonja del Pescado frito, dove cucinano il pesce migliore del mondo e mangi in tavoloni da festa dell’unità, solo che invece che cantare “Bella ciao” al massimo puoi sentire un cileno che urla “el pueblo unido jamas serà vencido”. Dignitoso comunque.
Quando cerchi di dialogare in romano, a Roma, con Dino e Tony, che ti lanciano al tavolo un piatto di gricia strillando “ ’Aaa Roma è magggica, ‘aaa Lazio è tragggica”.
Quando assapori sottobanco un bicchiere di un liquore fatto in casa dal siciliano in canottiera che ha aperto la pizzeria “Sharm el Sheikh” sull’Isla de Arousa, Galizia.  Non è dato sapere che cosa ci fosse in quel liquore, nè se Salvatore (aveva la faccia da Salvatore, il pizzettaro) avesse mai visto altri cinque italiani su quella cazzo di isola.

Si può trovare il buon umore tornando a casa dal lavoro, in macchina, decidendo di fare la strada più lunga perché ti piace che costeggi il lago. Quella strada ti piace così tanto che speri ci sia un ingorgo, un rallentamento. Speri che nelle notte abbiano messo un nuovo semaforo, e di trovarlo rosso. Assapori i chilometri, e ti godi ogni curva, sdraiato sul sedile, con un braccio sulla portiera, due dita sul volante e la musica giusta nello stereo.

Si può trovare il buon umore una mattina, una delle tante, salendo su un tram di Milano. C’è  una zingara dallo sguardo imperturbabile e freddo, come le montagne dalle quali arriva, intenta a suonare una fisarmonica. Cammina avanti e indietro per il tram strisciando la sua gonna colorata, decisamente troppo lunga, e mentre lo fa suona una musica balcanica, nomade, vagabonda. Ti entra nel sangue senza che nemmeno te ne accorga. Sorridi e pensi, guardi fuori dal finestrino. Sogni. Fino alla fermata dopo quando il rumore delle porte del tram che si aprono troncano di colpo la zingara, con lo sguardo imperturbabile e freddo, come le mattine di Milano.


Non si può essere felici solo quando non puoi fare altro. Il tempo passa troppo in fretta e se si aspetta di essere felici solo quando tutto è perfetto, rischieremmo di non esserlo mai. Ho una voglia matta di serenità data dalle cose semplici. Di farmele bastare. E di  avere sempre un sorriso, per ogni cosa.

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