Tra le prime parole
che ricordo, ci sono quelle del Sacerdote il primo giorno: “Prendetevi un
attimo per stare in silenzio e pregare. Lo so, e’ strano fare silenzio per chi
ha 18-20 anni”. Si, ma io di anni ne ho 24 e non prego , almeno nella più
classica delle accezioni, da una dozzina di anni. Sto in silenzio invece spesso,
almeno una volta al giorno a guardare il lago, riflettere e pianificare il
futuro. Immaginare posti e sogni bellissimi. In un certo senso prego moltissimo
anche io, se così si può dire.
A 24 anni si ha quell’età in cui non si può già essere
grandi del tutto ma nemmeno commettere più troppi di quei meravigliosi errori
dei quali finora ci si è nutriti nel bene e nel male. Ed è forse per questo
motivo che non più tardi di cinque mesi fa accettai di partecipare alla
spedizione verso Santiago de Compostela. 170 km di pellegrinaggio da effettuare
in sette giorni di cammino, 25 km di media con punte di 28. Partenza O’Cebreiro,
un piccolo paese di case in pietra e tetti di paglia che sembrava galleggiare
sul tappeto di nubi che copriva come una coperta la valle dalla quale siamo
arrivati, e che guarda ad est, spettatore privilegiato dell’alba galiziana.
La statale LU-633 si snoda come una stringa tra le montagne
che segnano il confine tra le Castilla Y Leon e la Galizia, disegnando dei
grigi origami tra il verde dei prati, nei quali, determinato come il passo di
chi lo percorre, si fa strada il sentiero del cammino di Santiago, con le sue
conchiglie di Finisterre e le frecce gialle a far le veci delle antiche stelle
per indicare la via ai migliaia di pellegrini che da centinaia di anni lo
percorrono dimenticandosi di dolore e fatica.
Delle volte non sappiamo prima il motivo di certe scelte, le
facciamo all’oscuro seguendo una flebile pulsione nascosta ma insistente che
proviene dall’interno. E per capire il motivo di quella pulsione 170 km non
sono sufficienti, come probabilmente non lo sarebbero nemmeno gli 800 e passa
da cui parte il vero cammino. Forse servirebbe anche percorrerli per conto
proprio questi chilometri, ad indagare dentro se stessi la vera inclinazione
della propria anima, per sentire che cosa ci sta sussurrando forte. Ma da tempo
ho imparato che i programmi e le aspettative del viaggiatore vengono
completamente stravolti non appena si è sulla strada. Perché le 19 persone con
cui ho percorso il cammino sono stata in effetti la sorpresa e il dono più
grande: tanto coraggio ed occhi profondi custodi di storie a volte difficili ma
aperti e speranzosi verso il futuro, ansiosi, tutti, di risposte alle domande
che a quest’età tormentano certe notti bastarde. Ognuno con le proprie
motivazioni ed i propri limiti da superare. Io con La sete di cerveza e la
voglia di sorseggiare attimi nuovi.
Tutte cose che si possono apprezzare solo quando si è nel
mezzo del cammino con Santiago ancora lontana, a suggerirmi che si vive solo
distanti e d’istanti, in quel momento in cui non si vede l’ora di essere lì
esattamente dove si è. Perché le vere risposte non arrivano a Santiago,
arrivano un po’ tutte lungo il cammino davanti agli spettacoli più improbabili,
magari davanti a quelle stesse manifestazioni di piccolo affetto a cui
normalmente non si fa caso. Ed allora anche un semplice “Hola, animo pregrino,
buen camino!”, se pronunciata al momento giusto diventa la cosa che avresti sempre
voluto sentirti dire.
Quando si parte per Santiago si riempie lo zaino con lo
stretto necessario e con le domande e le cose non risolte che la vita ti ha
fornito nel corso degli anni. Ad ogni tappa qualcosa si lascia giù, finche lo
zaino rimane sempre più leggere e le spalle non fanno più male, giorno dopo
giorno. Si abbandonano tutte le scorie che ci appesantiscono ogni giorno.
E durante il cammino si seguono senza sosta le frecce gialle
che compaiono di quando in quando, inventandosi modi per ingannare la fatica ed
arrivare prima alla prossima tappa.
Il paesaggio cambia ogni dieci km, così come i nostri
discorsi e i nostri pensieri. Le montagne si trasformano in colline, i pascoli
di allevamento in campi coltivati. Ci sono boschi autoctoni e boschi
artificiali, verdi radure e distese di girasoli. Piante di More, tante.
Pellegrini di ogni genere, età e provenienza, tutti con un “buen camino” in
bocca ed il proprio zaino pieno sulle spalle. Tutti con qualcosa da abbandonare
lungo la strada. Ci si sorpassa e ci si fa sorpassare, in continuazione.
Talvolta ci si incontra alla tappa successiva, in alcuni casi addirittura nello
stesso ostello. Nascono divertenti intese.
I contadini lungo il cammino lasciano del cibo per i
pellegrini e ti salutano ad ogni minima sollecitazione.
Noi che cantiamo e intoniamo cori, ci portiamo avanti l’un l’altro,
condividendo tutto quanto fino a quando la vediamo, La cattedrale, finalmente
sullo sfondo del nostro viaggio.
Dire quello che ti regala il cammino di Santiago non è
facile, come non è facile definirselo nella propria testa o ascoltare le
risposte che ti arrivano, perché non arrivano mai impacchettate e pronte per
essere usate. Arrivano molte volte per osmosi, per metafora, per esempio. Ma
poi succede che ti senti più ricco di qualcosa, ed il motivo preciso non lo si
capisce mai, ma in fondo penso che vada bene così.
A Santiago ognuno va col suo passo, a seconda delle gambe e
delle motivazioni, così come del resto la vita la si vive a frequenze
differenti. Ad alcuni i giorni sembrano anni, ostaggi delle paure che
attanagliano, altri si trovano adulti dopo un soffio di vento, a chiedersi se
forse non sia avvenuto tutto troppo in fretta e se solo quella volta avessi
fatto qualche km in più o in meno e fossi arrivato troppo presto o troppo tardi
a Santiago cosa sarebbe cambiato.
Passa un minuto, un giorno, un anno e poi la vita risponde,
ed allora quelle frecce gialle cominciano a farsi intravedere in qualche bivio,
sui muri freddi della città o ad indicarci qualche persona speciale, e il
cammino ricomincia di nuovo da capo con le sue salite e le sue discese. Per
raggiungere tutte le Santiago che capitano nella vita.
Perchè in realtà il cammino di Santiago non finisce mai per
davvero, nemmeno quando pensiamo di essere arrivati finalmente in fondo. Infatti
guardando bene lontano si riesce ad intravedere sempre una nuova e bellissima freccia
gialla nascosta nella nebbia, che ci fa tornare a respirare a pieni polmoni ,ci
indica una nuova felicità da raggiungere, strappare via e provare a fare nostra,
ci fa credere, infine, in tutte le occasioni che ci riserva il domani,
iniziando a camminare verso di loro senza vedere la cattedrale sullo sfondo ma
sapendo comunque che bisogna fare fatica, non guardare in basso e che qualcosa ci sarà alla fine di quella
strada, accettando il rischio di credere che andrà tutto bene, senza il
privilegio di sapere né come né quando.