mercoledì 27 agosto 2014

Venti frecce gialle



Tra le prime parole che ricordo, ci sono quelle del Sacerdote il primo giorno: “Prendetevi un attimo per stare in silenzio e pregare. Lo so, e’ strano fare silenzio per chi ha 18-20 anni”. Si, ma io di anni ne ho 24 e non prego , almeno nella più classica delle accezioni, da una dozzina di anni. Sto in silenzio invece spesso, almeno una volta al giorno a guardare il lago, riflettere e pianificare il futuro. Immaginare posti e sogni bellissimi. In un certo senso prego moltissimo anche io, se così si può dire.
A 24 anni si ha quell’età in cui non si può già essere grandi del tutto ma nemmeno commettere più troppi di quei meravigliosi errori dei quali finora ci si è nutriti nel bene e nel male. Ed è forse per questo motivo che non più tardi di cinque mesi fa accettai di partecipare alla spedizione verso Santiago de Compostela. 170 km di pellegrinaggio da effettuare in sette giorni di cammino, 25 km di media con punte di 28. Partenza O’Cebreiro, un piccolo paese di case in pietra e tetti di paglia che sembrava galleggiare sul tappeto di nubi che copriva come una coperta la valle dalla quale siamo arrivati, e che guarda ad est, spettatore privilegiato dell’alba galiziana.
La statale LU-633 si snoda come una stringa tra le montagne che segnano il confine tra le Castilla Y Leon e la Galizia, disegnando dei grigi origami tra il verde dei prati, nei quali, determinato come il passo di chi lo percorre, si fa strada il sentiero del cammino di Santiago, con le sue conchiglie di Finisterre e le frecce gialle a far le veci delle antiche stelle per indicare la via ai migliaia di pellegrini che da centinaia di anni lo percorrono dimenticandosi di dolore e fatica.

Delle volte non sappiamo prima il motivo di certe scelte, le facciamo all’oscuro seguendo una flebile pulsione nascosta ma insistente che proviene dall’interno. E per capire il motivo di quella pulsione 170 km non sono sufficienti, come probabilmente non lo sarebbero nemmeno gli 800 e passa da cui parte il vero cammino. Forse servirebbe anche percorrerli per conto proprio questi chilometri, ad indagare dentro se stessi la vera inclinazione della propria anima, per sentire che cosa ci sta sussurrando forte. Ma da tempo ho imparato che i programmi e le aspettative del viaggiatore vengono completamente stravolti non appena si è sulla strada. Perché le 19 persone con cui ho percorso il cammino sono stata in effetti la sorpresa e il dono più grande: tanto coraggio ed occhi profondi custodi di storie a volte difficili ma aperti e speranzosi verso il futuro, ansiosi, tutti, di risposte alle domande che a quest’età tormentano certe notti bastarde. Ognuno con le proprie motivazioni ed i propri limiti da superare. Io con La sete di cerveza e la voglia di sorseggiare attimi nuovi.
Tutte cose che si possono apprezzare solo quando si è nel mezzo del cammino con Santiago ancora lontana, a suggerirmi che si vive solo distanti e d’istanti, in quel momento in cui non si vede l’ora di essere lì esattamente dove si è. Perché le vere risposte non arrivano a Santiago, arrivano un po’ tutte lungo il cammino davanti agli spettacoli più improbabili, magari davanti a quelle stesse manifestazioni di piccolo affetto a cui normalmente non si fa caso. Ed allora anche un semplice “Hola, animo pregrino, buen camino!”, se pronunciata al momento giusto diventa la cosa che avresti sempre voluto sentirti dire.
Quando si parte per Santiago si riempie lo zaino con lo stretto necessario e con le domande e le cose non risolte che la vita ti ha fornito nel corso degli anni. Ad ogni tappa qualcosa si lascia giù, finche lo zaino rimane sempre più leggere e le spalle non fanno più male, giorno dopo giorno. Si abbandonano tutte le scorie che ci appesantiscono ogni giorno.
E durante il cammino si seguono senza sosta le frecce gialle che compaiono di quando in quando, inventandosi modi per ingannare la fatica ed arrivare prima alla prossima tappa.
Il paesaggio cambia ogni dieci km, così come i nostri discorsi e i nostri pensieri. Le montagne si trasformano in colline, i pascoli di allevamento in campi coltivati. Ci sono boschi autoctoni e boschi artificiali, verdi radure e distese di girasoli. Piante di More, tante. Pellegrini di ogni genere, età e provenienza, tutti con un “buen camino” in bocca ed il proprio zaino pieno sulle spalle. Tutti con qualcosa da abbandonare lungo la strada. Ci si sorpassa e ci si fa sorpassare, in continuazione. Talvolta ci si incontra alla tappa successiva, in alcuni casi addirittura nello stesso ostello. Nascono divertenti intese.
I contadini lungo il cammino lasciano del cibo per i pellegrini e ti salutano ad ogni minima sollecitazione.
Noi che cantiamo e intoniamo cori, ci portiamo avanti l’un l’altro, condividendo tutto quanto fino a quando la vediamo, La cattedrale, finalmente sullo sfondo del nostro viaggio.

Dire quello che ti regala il cammino di Santiago non è facile, come non è facile definirselo nella propria testa o ascoltare le risposte che ti arrivano, perché non arrivano mai impacchettate e pronte per essere usate. Arrivano molte volte per osmosi, per metafora, per esempio. Ma poi succede che ti senti più ricco di qualcosa, ed il motivo preciso non lo si capisce mai, ma in fondo penso che vada bene così.
A Santiago ognuno va col suo passo, a seconda delle gambe e delle motivazioni, così come del resto la vita la si vive a frequenze differenti. Ad alcuni i giorni sembrano anni, ostaggi delle paure che attanagliano, altri si trovano adulti dopo un soffio di vento, a chiedersi se forse non sia avvenuto tutto troppo in fretta e se solo quella volta avessi fatto qualche km in più o in meno e fossi arrivato troppo presto o troppo tardi a Santiago cosa sarebbe cambiato.
Passa un minuto, un giorno, un anno e poi la vita risponde, ed allora quelle frecce gialle cominciano a farsi intravedere in qualche bivio, sui muri freddi della città o ad indicarci qualche persona speciale, e il cammino ricomincia di nuovo da capo con le sue salite e le sue discese. Per raggiungere tutte le Santiago che capitano nella vita.

Perchè in realtà il cammino di Santiago non finisce mai per davvero, nemmeno quando pensiamo di essere arrivati finalmente in fondo. Infatti guardando bene lontano si riesce ad intravedere sempre una nuova e bellissima freccia gialla nascosta nella nebbia, che ci fa tornare a respirare a pieni polmoni ,ci indica una nuova felicità da raggiungere, strappare via e provare a fare nostra, ci fa credere, infine, in tutte le occasioni che ci riserva il domani, iniziando a camminare verso di loro senza vedere la cattedrale sullo sfondo ma sapendo comunque che bisogna fare fatica, non guardare in basso  e che qualcosa ci sarà alla fine di quella strada, accettando il rischio di credere che andrà tutto bene, senza il privilegio di sapere né come né quando.


domenica 17 agosto 2014

Il numero di agosto

Le riviste mensili e bimestrali, sia che si tratti di quelle di musica che di quelle di architettura, per restare nell’ambito di quelle che solitamente consumo, ad agosto propongono il numero estivo. E’ diverso dagli altri numeri, è più lungo e con contenuti molto meno attuali. E’ un numero quasi celebrativo. Il Rolling Stones, ancora quando c’era, di solito pubblicava classifiche di album o di canzoni, tirando di fatto le fila sulla musica che ha creato qualche fenomeno di massa negli ultimi 50 anni. 
Le Stagioni del lago non ha una cadenza mensile o bimestrale e non è nemmeno una rivista, ma con i viaggi che incombono tornerò alla cruda realtà non prima di riveder spuntare settembre e quindi mi sento in dovere di colmare il mio futuro silenzio stampa prolungato con un pezzo celebrativo appunto, proprio come fosse un numero estivo.

Settimana scorsa ho partecipato ad una cena tra amici denominata “la cena palindroma”. Non starò a spiegarvi il motivo di questo nome lasciandovi tutto lo spazio fantasia che desiderate per immaginare il motivo che più vi soddisfa. Uno degli argomenti di discussione della cena, come al solito, è stata la musica, affascinante e fedele compagna delle vite di tutti i commensali della serata. In particolare, si parlava della king kong 5 di una delle partecipanti alla cena. Per chi non lo sapesse la king kong 5 è una playlist fatta per un programma radiofonico di radio 1. Non è necessariamente la playlist delle 5 canzoni della vita, piuttosto quella delle 5 canzoni che vengono in mente rispetto ad un tema dato.
Quale occasione migliore del numero di agosto per regalarvi la mia king kong 5 rispetto al tema migliore di cui si possa parlare ad agosto: il futuro.
Ecco, in realtà, avevo scritto qualcosa come 130 canzoni lì per li, sono riuscito a sceglierne 10, 5 mi sembrava una tortura troppo grande, non ce l'ho proprio fatta, vogliate perdonarmi.

10.       The Zen Circus – “Vent’anni”
https://www.youtube.com/watch?v=5Dcx5hdlRCs
“Aprire una playlist sul futuro con una canzone che ha i verbi al passato può sembrare un controsenso. Tuttavia sono convinto che non si possa parlare del futuro e nemmeno immaginarlo se prima non si parta dal proprio passato e dagli errori fatti. Gli Zen Circus rappresentano in pieno il mio presente, e questa canzone racconta perfettamente cosa significhi avere o avere avuto vent’anni da poco. Non posso pensare a me domani senza ricordarmi di me ieri.”

9.     Florence and the Machine – “Dogs days are over”
“Delle volte si parte con calma per raggiungere le cose migliori. Un climax inarrestabile ed una meta ben precisa. Questa canzone è come un’alba sul lago, è un’idea che nasce lentamente tirando fuori pian piano tutto il suo carattere.”

 8.  Iggy Pop – “The Passenger”
“Quando penso a domani non è mai in un posto solo, non è mai con un solo lavoro o con un solo progetto in mente. Questa è la canzone che per me ha sempre significato viaggio. Ed è la canzone che metto sempre all’inizio di una qualsiasi partenza, sia che si tratti di andare in qualche posto, sia che si tratti di partire per un progetto nuovo.”

7.   Underworld – “Born Slippy”
“Ogni tanto mi riguardo il finale di Trainspotting, quando Renton ruba il borsone dei soldi e scappa lasciando i suoi amici a cercarlo. La liberazione dalla dipendenza, che si tratti di droga o di qualunque cosa ci costringa in una dimensione diversa da quella che ci faccia stare bene unita alla meraviglia del ricominciare da zero quando si tocca il fondo. Questa canzone è la mia assicurazione, è una cassetta di sicurezza all’aereoporto, è un passaporto falso, è il borsone di cose che contano che mi porto dietro non voltandomi più indietro, lasciando i demoni a cercarmi per sempre.”

6.   The Chemicals Brothers -  “Another World”
“Le estati che vivrò, le immagino calde ed asfissianti. Si smette di pensare e ci si lascia trasportare senza opporre resistenza. Persi per il mondo. E’ quella fase della vita dove è bello vivere il momento, in una situazione di stallo, ubriachi di presente, in pausa da tutte le idee e le aspettative. Utili per ricaricare le batterie e fare il pieno per tornare più forti di prima”.

5. Bruce Springsteen – “No Surrender”
“C’è una canzone ed album del boss per qualsiasi stato d’animo o momento della vita. No Surrender è la raccomandazione di chi ti vuol bene e sarà sempre qui ad aspettarti quando tornerai, che ti sosterrà e saprà dirti le parole giuste sempre, in qualunque situazione.”

4. Tne Thermals – “Power doesn't run on nothing"
“Non riesco ad immaginare un futuro che vada ad una velocità diversa da questa canzone e che non sia un po’ informale e buttato lì come si addice al migliore punk. I Thermals per me sono le parolacce in una cena di gala, sono il jeans strappato all’esame di laurea, sono il dito medio di fronte a tutto ciò che è noioso, inquadrato e formale, sono quella parte di me che non morirà mai”

3.   Bedouin Soundclash – “Brutal Hearts”
“l’amore per cui vale la pena vivere è folle e brutale del quale ci si possa inebriare in giro per il mondo, sentendosi a casa solo in un abbraccio stretto e deciso. Un amore a cui non basti mai e che non si accontenti di nulla, sempre curioso ed affettuoso, comprensivo e stimolante. Che metta i piedi sul cruscotto, guardi l’orizzonte e conservi nel grembo i ricordi più belli.”

2.   Radiohead – “Gagging Order”
"La serenità data dalle cose semplici, dopo aver girato per ogni angolo di mondo, a cercare qualcosa che ci faccia sentire vivi per poi tornare e riuscire ad essere felici per ciò che gia abbiamo. La semplicità è l’elisir di lunga vita migliore che ci sia. "

1. Coldplay – “Clocks”
 “Quella scintilla dentro di me che mi fa sempre guardare avanti con la speranza e con la convinzione non tanto che tutto andrà bene, ma con la certezza che sarà tutto, sempre, meglio di prima.”

Buon agosto.

p.s.
Soltanto un saluto all’attore che fin da quando ero bambino ha prestato il volto, il corpo e lo spirito a personaggi del cinema che sono stati per me eroi, modelli ed amici. Semplicemente l’attore che più di ogni altro ha saputo creare un mondo in cui i sogni fossero i protagonisti del film. Aveva quel rarissimo dono che hanno certe persone di saper far ridere e commuovere quasi all’unisono e per queste due cose, gli sarò sempre grato.