Il 2013 è agli sgoccioli, agli ultimi spasmi prima dell’inesorabile
sacrificio volto a favorire l’ascesa dell’anno nuovo. Come per una sorta di
tradizione, è tempo di classifiche e di greatest hits, sicuramente non
richieste, di cui senza dubbio fareste a meno ed inevitabilmente molto poco
autorevoli, come ben si addice a qualsiasi tentativo di spiegazione dell’arte
che questo blog ha saltuariamente ospitato. Ho provato a stilare la classifica
dei 50 album che più (o meno) mi hanno colpito usciti nel corso di questo 2013.
Doverose premesse: molti dischi sono rimasti fuori il più
delle volte perché sono stati decisamente sotto le aspettative che nutrivo per
la loro uscita (The Strokes, MGMT, David Bowie, Entropia ecc.), altri li ho
persi per strada o non ho avuto abbastanza tempo per ascoltarli a dovere (Queen
on the stone age, Jake Bugg, Luca Carboni ecc. ecc.) e quelli entrati in
classifica sono lì solo perché sono piaciuti a me, non perché necessariamente
siano a livello tecnico i migliori, né tanto meno perché io sappia dirvi
tecnicamente quali sono stati i migliori. Posto questo, magari ne trovate
qualcuno che piace anche a voi.
#50.
Enzo Jannacci – L’artista
#49. Capital Cities – In a tidal wave of mistery
#48. Empire of the sun – Ice on the dune
#47. Sebadoh – Defend yourself
#46. Moderat - II
#45. Status
Quo – Bula quo!
#44. Calibro
35 – Traditori di tutti
#43. Bill
Callahan – Dream river
#42. Major Lazer – Free the universe
#41. Riva Starr – Hand in hand
#40. Airbourne – Black dog barking
#39. Kodaline – In a perfect world
#38. Yellowcard – Southern air
#37. Painc! At the disco – Too weird to live, too rare
to die!
#36. Arctick Monkeys – AM
#35. Kings of Leon – Mechanic Bull
#34. Franz Ferdinand - Right Thoughts, Right Words,
Right Action
#33. One Republic – Native
#32. Bastille – Bad Blood
#31. Nick Cave & the Bad Seeds – Push the sky away
#30. Vampire weekend – Modern vampire of the city
#29. Eminem – The Marshall mothers II
#28. King Krule – 6 feet beneath the moon
#27. Buckcherry – Confessions
#26. The Fratellis – We need machine
#25. The Vaccines – Come of age
#24. Edward Sharpe & The Magnetic Zeros - Edward
Sharpe & The Magnetic Zeros
#23. Jimmy eat world - Damage
#22. Volcano Choir – Repave
#21. Imagine Dragons – Night Visions
#20. I Cani – Glamour
Il secondo album de "I Cani" sembra seguire la falsa riga del disco precedente. Un po’ hipster, un po’ snob, sono meglio dei Baustelle ma non
bravi come gli Zen Circus. Contessa indubbiamente ha qualcosa da dire, se non
altro per il fatto di essere estremamente contemporaneo rispetto al mondo che
lo circonda. In una cosa poi cazzo hanno ragione: "vorrei stare sempre così,
avere cose pratiche in testa, i soldi per mangiare, i dischi, i videogiochi e
basta".
#19. Fall Out Boy – Save rock’n’roll
Album
gradevole e mediamente superiore ad altri di artisti da cui mi aspettavo di più
(Franz Ferdinand su tutti), certo, non è che davvero saranno loro a salvare il
rock’n’roll chiariamoci. Poi va bè, se il gruppo avesse la voce del cantante
dei Pearl Jam forse mi piacerebbe di più, ma siam sempre lì, se mia nonna
avesse le ruote sarebbe una cariola.
#18.
The Lumineers – The Lumineers
Album
del 2012 a dirla tutta, con versione deluxe nel 2013 e quindi, ripescato. Ad un
primo ascolto te ne innamori profondamente, dopo la decima volta un filo inizia
a smaronare, anche se "Ho Hey" l’abbiamo cantata fino alla nausea e rimane
comunque sempre tanto tanto bella. Brutta copia del Mumford and Son’s, ma una gran bella brutta
copia.
#17.
Superchunk – I hate music
Chitarre
che vanno, ritmi indie classici, niente di rivoluzionario, ma nemmeno niente
che davvero non vada. Onesto compitino, ma che alla fine riesce ancora a
funzionare. Da ascoltare quando si ha voglia di un rock non troppo complesso.
#16.
Gogol Bordello – Pura vida consipracy
Stesso
discorso per Gogol Bordello, stessa musica di sempre e concept invariato, cosa
che tuttavia va bene perché alla fine noi che siamo i suoi fan da lui vogliamo
questo. Musica per ballare e pogare, e live strepitosi dove poterci sfasciare. Quindi
finchè continueranno a farci divertire così, lunga vita Gogol Bordello.
#15. Perl Jam – Lighting Bolt
Non lo so. Cioè, anche qui mi aspettavo qualcosa
di più, nonostante alcuni pezzi siano davvero belli. Ma gli manca quel
qualcosa, quel tocco che trasforma un buon disco in un bel disco. Resta che la voce
di Eddie Vedder è tra le migliori che ci siano al mondo, è come fosse un’ulteriore
strumento che suona insieme a basso chitarre e batteria. "Sirens" senza dubbio
il pezzo migliore. Diciamo che se la cavano ancora una volta, vedremo fino a
quando ce la faranno.
#14.
Daughter – If you leave
Ammetto
che non li ho ascoltati molto e sono tra i primi venti un po’ sulla fiducia. Ma
diciamo che sono bastati un paio di ascolti per capire la stoffa di questo
gruppo che non conoscevo. Musica perfetta per viaggiare stando straiati sul
letto o su una spiaggia, non serve ne benzina ne soldi per i biglietti del
treno, non bisogna fare le valigie ne trovare un posto per la notte, è
sufficiente chiudere gli occhi.
#13. Fiorella
Mannoia – A te
Il 4
marzo 2012 a Bologna, si tennero i funerali di Lucio Dalla. Un’intera città era
presente nella chiesa di San Petronio e un’intera nazione era incollata alla
tv, tutti a piangere uno dei migliori artisti italiani del ‘900. Un anno e
qualche mese dopo Fiorella Mannoia canta alcune delle sue canzoni migliori, un
po’ come tributo, un po’ perché manca sempre, a lei come a noi.
#12.
Alborosie – Sound the system
La verità è che quelli come me smetteranno di amare il
reggae e la patchanka solo quando saremo troppo vecchi per fare i viaggi “on
the road” di un mese. E anche lì, non ci giurerei. Si xkè anche allora secondo
me riascolteremo “Legend” di bob Marley, “Proxima estacion…” di Manu Chao, e
forse anche “Sound the system” di Alborosie ricordandoci quanto ci siamo
divertiti, consegnandoli come un eredità ai nostri figli prima che a l'ora
volta partano per il mondo: figliolo promettimi di stare attento e di ascoltare
Manu Chao e Bob Marley, promettilo!!
#11.
Moby – Innocents
Avete
presente quel clichè dei taxisti di New York che fermi in coda ai semafori,
imbottigliati nel traffico, abbassano il parasole sopra il volante e incastrata
hanno la foto di un’isola delle Hawaii dove sognano di ritirarsi, un giorno?!. Quella
piccola vacanza, quella minuscola concessione di libertà in mezzo alla frenesia
che li circonda. Ecco, questo disco è la stessa cosa.
#10.
Ligabue - Mondovisione
Succede a volte, ascoltando la musica, che ci si
appassiona talmente tanto ad un artista che quest'ultimo diventa praticamente
uno di famiglia, lo zio musicista che vive in America (o a Correggio, fa lo
stesso). E succede delle rare volte che l'invecchiare dell'artista, e il
conseguente cambiamento della sua musica, avvenga esattamente con la stessa
velocità con la quale diventa grande una generazione. Si perché, c'é stato un
tempo in cui tutti noi chiedevamo a Dio se avesse un momento anche per noi, c'è
stato un tempo in cui abbiamo avuto davvero dei sogni di rock'n'roll (e un po'
ancora li abbiamo) c'è stato un tempo che insieme agli amici con i quali
crescevamo cantavamo che certe notti non finiscono mai, mano nella mano con la
prima ragazza, con la quale, almeno una volta tutti abbiamo pensato sarebbe
durata per sempre.
Gli ultimi due album del Liga sono l'onesta parabola
artistica di un uomo che dignitosamente diventa grande scoprendo ancora
qualcosa che valga la pena di essere cantato, ogni volta inspiegabilmente toccando
quelle corde che hanno bisogno di essere suonate. Perché avrebbe potuto anche
lasciarci tutti qui ad urlare ancora contro il cielo e farci diventare grandi
da soli, ma non l'ha fatto.
#9.
Fedez – Sig. Brainwash (l’arte di accontentare)
Come spesso accade il senso e la sintesi del disco
sono contenute nel titolo dell'album: l'arte di accontentare. Quasi in tutte le
canzoni e i quasi ogni rima infatti risulta lampante come in effetti
accontentare sia un vera e propria arte, e che l'accontentare sia l'arte che
deve saper possedere e plasmare chi canta e compone musica (rap ma non solo) al
giorno d'oggi.
Fedez é furbo in questo, ha capito quali sono gli
ingredienti e le dosi che compongono la formula da propinarci per piacere e non
si nasconde. Previene le accuse (il problema di esssere un privilegiato è che
ti senti inadeguato e non riesci a dire quello che veramente pensi.) della
serie non è tutto oro ció che luccica, e sfodera tutta la sua (finta?) umiltà
di ragazzo che dice quello che pensa. Dal canto mio, gli credo, o almeno, il
risultato che ne esce sembra coerente di per sé, e per un attimo passa quasi la
voglia di andare ad indagare se sia coerente con il personaggio Fedez e poi
ancora con l'uomo Federico. Quasi avessi paura dell'eventuale delusione, quasi
che la paura di soffrire sia peggio della
sofferenza stessa.
#8. Arcade Fire – Reflektor
Il confine che c’è fra un buon gruppo e un gruppo che
ci ricorderemo, credo coincida con il terzo album. Se una band riesce a creare
tre album sopra la media, è arrivata. Ce l'ha fatta. Ora, "The Funeral" e "Suburbs" sono stati due album per molti versi fenomenali, tanto che, come spesso accade,
è facile far entrare un gruppo in una crisi d’identità condita da ansia da
prestazione che, la storia ci insegna, ha trascinato nel baratro decine di
gruppi all’esordio promettenti e poi trasformatisi in meteore. Reflektor, per
quanto mi riguarda, vince la sfida del terzo album, con un eleganza sorprendente. Si perché, chi si aspettava un disco rock forse rimarrà deluso, ma gli
Arcade fire dimostrano di saper maneggiare la musica, il ritmo, di sapersi
reinventare con quella facilità tipica dei gruppi che sono destinati ad avere
una vita parecchio lunga, vedere alla voce "Beatles" per credere.
#7. Paul McCartney – New
Partiamo
dal presupposto che io i Beatles non li ho mai amati e il Paul solista non fa
differenza (anche se lo preferisco mille volte). Posto questo, la meraviglia del
disco è innegabile, come del resto lo è la smisurata bravura di un artista che
rimane comunque uno dei mostri sacri del rock ancora in vita e in attività, che
umilia, mi si passi il termine, musicalmente, gran parte delle band rock
attualmente in circolo. Nonostante questo i limiti rimangono, sia chiaro, parlo
dei miei limiti ad ascoltare la sua musica, non certo dei suoi nel comporla
(semmai ce ne fossero). Sarà che le melodie troppo perfette e musicalmente
impeccabili non riescono a far breccia nel mio cuore musicale alle volte
piuttosto rozzo se si parla di rock, io che il rock molte volte lo preferisco
quando è un po’ più buttato lì come viene, convinto nel profondo che gli errori
siano una componente irrinunciabile così nella musica come nella vita.
#6. Daft
Punk – Random access memories
Se
qualcuno cercasse un motivo valido per ascoltare questo disco basterebbe sapere
come ha risposto Pharrell Williams, il cantante di Get Lucky (e di blurred
lines, l’altra grande hit estiva, scusate), alla domanda su come abbia fatto ad
uscirgli la frase: “We’re up all night to
get lucky”, di fatto abbastanza intraducibile in italiano. Risponde: “volevo creare un momento di estasi assoluta
che si ripetesse all’infinito annullando la divisione passato/presente/futuro.”
E a chi giustamente ribatte che si pensava parlasse di sesso lui incalza: “il sesso è un momento di perfezione
assoluta quindi non è del tutto sbagliato”. Premesso questo, i motivi
validi per ascoltare il disco sono un’infinità.
In un
epoca sempre più votata all’utilizzo indiscriminato della tecnologia, i Robot,
si fanno carico di riportare il mondo della musica creata con i computer e i
campionatori all’utilizzo di strumenti musicali e voci umane e facendo così,
quasi per una logica conseguenza, vanno a ripescare la disco music degli anni
’70, come se, la sintesi estrema della loro musica fino ad ora composta,
eliminata la sovrastruttura, non possa che essere questa. Il risultato è un
disco complesso, studiato nei minimi particolari, che appare però fluido e
inesorabilmente giusto, appropriato, autentico, quasi a suggerirci, ancora una
volta, che se veramente si vuole andare avanti nel futuro bisogna plasmare ciò
che di buono c’è stato nel passato.
#5. Is Tropical – I’m leaving
Quando ho finito di ascoltare la prima volta questo disco, l’ho fatto subito ripartire da capo. Due volte. Sono consapevole che è possibile che crei spavento vederlo davanti a gente tipo Daft Punk o McCartney (vedrete chi c’è in testa…), ma questo disco ha un alone per me magico.
Mi sembra una colonna sonora adatta a diversi momenti dell’anno e della vita, quasi riuscisse a mimetizzarsi come un camaleonte in diverse situazioni. Lo ascolterei in barca sul lago e allo stesso modo in camera mentre fuori piove, lo metterei nelle cuffie in metropolitana e allo stesso modo nello stereo della macchina mentre vado in vacanza. Lo metterei un mattino a spasso nei paesini della Galizia e lo rimetterei in una baita in montagna mentre guardo la neve che scende. Me lo tengo stretto, come un segreto, o una mia suggestione, e non vi assicuro che vi possa fare lo stesso effetto.
#4. Los
Campesinos! – No Blues
“Hello Sadness”, Il penultimo album dei Los
Campesinos! l'ho usurato nelle fredde giornate del gennaio scorso. Il mio animo
inquietissimo di allora ben si sposava con l'enorme quantità di suoni, colori e
atmosfere che il gruppo gallese ha la maestria di saper mescolare. Ora esce il
nuovo album e lo stile è lo stesso, ma sono cambiato io. Quello che prima era
lo stile dell'inquietudine si trasforma ora, finalmente, nel disco della
serenità, con cui guardare il mondo nella sua meraviglia con un sorriso. Ennesimo
lavoro ben fatto della band che, pur non riuscendo mai a fare il grande salto
(e non per demerito) non fallisce mai gli appuntamenti. No Blues è una
tavolozza di colori con i quali dipingere splendidi pensieri.
#3. Parov Stelar – The art of sampling
Alcuni lo chiamano jazz
tecnico, altri electro swing e dopo sei mesi che lo ascolto ancora non sono in
grado di dare una definizione precisa al genere, ma poco importa.
Parov stelar sa
perfettamente come suonano i suoni, e questa cosa, che può sembrare scontata,
non lo è affatto. Sa dosare ogni ingrediente con gusto ed eleganza generando un
piatto ricco senza ne essere troppo dolce, ne aspro, ne amaro, un prodotto in
equilibrio perfetto, in continua tensione tra poli diversi, di una precisione
maniacale, è come se la sua musica camminasse come un funambolo su un filo
sottilissimo senza esagerare nè risparmiarsi, rasentando in diversi punti la
perfezione, un susseguirsi di ritmi ballabili ed estremamente gustosi costruito
con suoni pieni variegati ed avvolgenti.
#2. Appino - Il Testamento
Appino, come
del resto fanno gli Zen Circus, non concede sconti, non è morbido verso
nessuno, quasi questo mondo non meritasse nessun tipo d'indulgenza, e in
effetti ha parecchia ragione. Anche se poi in realtà non lo fa ne per snobbismo,
ne per critica a prescindere, ne tanto meno per invidia verso il mainstream
mascherata da anticonformismo. Anzi, tutto il contrario, e forse questo è il
vero motivo perché a differenza di un sacco di artisti indie italiani produce
musica di qualità superiore alla media. Appino non rosica mai ed è coerente con
quello che dice. di album in album continua a limare la punta alla sua matita
generando un tratto sempre più aguzzo e meno grossolano. Una volta ci avrebbe
mandato semplicemente tutti affanculo senza troppe spiegazioni, col tempo la
sua denuncia si fa sempre più poetica e sottile, insinuandosi in chi ascolta,
con il risultato di rendere le sue parole decisamente più efficaci.
#1. Dargen
D’Amico –
Vivere aiuta a non morire
Eh si. L’artista
dell’anno per me, è stato Dargen D’amico. Ho fatto la sua conoscenza sulle
strade spagnole quando da un posto all’altro imparavamo le canzoni dei suoi
precedenti album: “Di vizi, di forma virtù” e “CD’”, per poi tornare a casa e,
tra settembre e ottobre, letteralmente usurare “Vivere aiuta a non morire” che
già solo per il titolo potrei usare come estrema sintesi di questo 2013 che sta
finendo.
La
chiave per leggere, ascoltare e capire Dargen D’amico è l’ironia, e l’uso che il
rapper ne fa in ogni cosa che scrive, che canta o che fa. Una volta capito
questo, l’album che ad uno sguardo superficiale sembrerebbe soltanto l’ennesimo
disco di un rapper italiano che vende stronzate ai ragazzini, diventa
un’esperienza fatta per riflettere, ballando, ragionando, ripensando.
Vivere Aiuta a non morire è uno di
quei dischi che vanno ascolti e riascolti rimuginando su qualsiasi
sfaccettatura e qualunque significato recondito, su ogni sillaba e su tutte le
rime create distorcendo la lingua italiana, capace di regalare doppi sensi
pressoché ovunque, cercando di apprendere non tanto il senso completo
dell'album, quanto piuttosto di rubare la modalità di sguardo che Dargen ha sul
mondo di oggi, per poi, se siamo bravi e fortunati, farne tesoro ed usarla a
nostra volta.