Esistono cose nella vita che si danno ormai per scontato.
Per esempio: Se stai cercando un qualunque oggetto che vuoi comprare, il
negozio subito dopo a quello dove comprerai il tale oggetto, lo venderà
sicuramente più bello e che costa meno. Gli spaghetti aglio, olio e peperoncino
se li mangi dopo mezzanotte sono indubbiamente più saporiti. Gabriel Garko è un
cane a recitare. Il Todo Modo fa le crepes più buone al mondo. E’ sicuramente
l’anno buono per comprare Hernandez del Palermo al fantacalcio (ci salva solo
il fatto che siano retrocessi, entrambi). Il lunedì sera in inverno, su rai
due, c’è voyager.
Ecc.
In quest’ultima settimana sono venute meno diverse certezze
che mai avrei pensato potessero essere inesatte (nessuna di quelle elencate prima
per fortuna).
Negli ultimi sette giorni ho vissuto a casa di un mio amico,
mentre lui era in ferie, in giro per la Bretagna, tra fari, scogliere e
creperies (gliel’ho detto che tanto la migliore al mondo la fanno appunto al Todo Modo,
a Milano, ma niente). Ho fatto il custode per una settimana, il guardiano del
faro, per dirla in maniera pittoresca. Ho sempre sognato in effetti di fare
come lavoro il guardiano del faro, motivo per cui la sera, ogni tanto, tenevo
puntata una pila verso il bosco, muovendomi in senso orario, in attesa di
scorgere navi in lontananza, o più probabilmente cinghiali.
Non che fosse una roba che spacchi la schiena, chiariamoci,
le mie mansioni si limitavano a curare che non entrassero ladri e
malintenzionati e dar da mangiare a gatti e tartarughe. Ah giusto, i gatti mi
stanno sulle palle, parecchio. Pensano che gli sia tutto dovuto, soprattutto
quello tigrato che appena aprivo la portafinestra della sala scattava e cercava
di entrare in casa. L’avrei torturato. Le due tartarughe mi sembrano animali
tristissimi. Mi ricordavano il Mignolo col Prof, quella coppia di topi
protagonista dell’omonimo cartone animato, che ogni sera provavano a
conquistare il mondo; loro invece ogni giorno cercavano “the great escape”,
salvo poi ricadere in acqua dopo il primo flebile tentativo di scalare le
pareti verticali e viscide della loro vasca.
Ma comunque, vi racconto perché non ho più certezze.
Fino a settimana scorsa pensavo che le case funzionassero da
sole, avessero come dire, vita propria. Non è così.
Dopo il primo giorno nella nuova dimora, presto mi accorgo
che c’è qualcosa che non va. Scopro che alcune macchie sul pavimento, non
spariscono da sole. Ci sarà qualcosa di rotto nell’impianto di pulizia pensai.
Piccolezze.
Dopo il secondo giorno, butto i vestiti sporchi nella cesta,
e non riesco proprio ancora a capire perché non sono tornati puliti e stirati
sul mio letto dopo un paio di giorni. Di solito a casa mia funziona così.
Misteri.
Dopo il terzo giorno finisce l’olio. Cerco un’altra
bottiglia. Ovunque. Nella dispensa, nel ripostiglio, nei cassetti, sotto il
materasso, nella vasca delle tartarughe, scavo buche in giardino, niente. Non c’è
più olio, scemo io che credevo che certi ingredienti tipo olio appunto, ma
anche zucchero, sale venissero venduti insieme alla cucina al momento dell’acquisto
e la cucina stessa gli generasse ogni qualvolta ce ne fosse bisogno. Non mi ero
mai posto il problema che finissero.
Non ci sono più dubbi, questa casa non funziona, pensai. Scopro
così che le case non hanno vita propria.
Ma le mie disavventure da scapolo non
finiscono qui.
Ho scoperto che fare la spesa può essere delle volte parecchio traumatico.
Vado a fare la spesa in un piccolo supermarket di Sesto Calende,
parcheggio lontano tre km perché almeno non devo pagare il parchimetro, quando
arrivo davanti alla porta scorrevole del market vedo un cartello che leggerebbe
anche un cieco: parcheggio 200 m. Merda! Pazienza, portare le borse della spesa
è meno costoso che andare in palestra. Entro e sono circondato da un esercito
di nonne che si destreggiano tra i reparti del supermercato come Alberto Tomba
tra le porte di uno slalom speciale, alcune mi guardano con aria sospetta, come
se un ragazzo di vent’anni che va a far la spesa deve per forza avere qualcosa
di losco in mente. Esito mezzo secondo sulla bilancia mentre peso le banane perché
non trovo il tasto giusto e inizio a sentire il popolo alle mie spalle che
rumoreggia, brontola. Schiaccio un tasto a caso e scappo rifugiandomi tra gli
scaffali della fila parallela, quando un’angelica voce di settantenne mi
chiede: “mi scusi lei che è un ragazzone così alto (????) non è che mi prende
lo scottex che non ci arrivo?!”.. ecco se io sono alto per la signora immaginativi
quanto potesse svettare lei, roba che se cadeva dal marciapiede si rompeva un
femore.
Alla cassa passano la mia merce, la cassiera arriva alle banane, mi guarda e dice: "perchè hai l'etichetta dei peperoni? hai sbagliato a digitare?"... "storia lunga signorina".
Pago e mi faccio i miei 3 km a piedi con le borse, una si è completamente
sfondata esattamente a tre metri dalla portiera della macchina.
L’ultimo giorno pulizie. Panico. La paura che attanaglia. Mi
scopro assolutamente inadeguato e impreparato. C’è stato un attimo che ho
pensato che forse, avrei fatto prima a ripiastrellare tutta la cucina, ci avrei
impiegato meno tempo.
Ma a parte questi piccoli inconvenienti non posso non
ammettere che amo vivere da solo. Amo gestirmi i miei tempi e i miei spazi,
poter avere sempre la casa piena di amici e lasciare in giro quel fantastico
disordine sistematico entro il quale non si perde mai niente (forse perché in
realtà si perde tutto). Già perché, un’altra delle certezze della vita è che le
case, sia quelle che funzionano sia quelle rotte, hanno il potere di rubare,
nascondere e custodire nel loro ventre, ricordi, gioie, dolori, scene di vita,
cene tra amici, spaghetti e film di mezzanotte, e molte volte anche oggetti,
che si perdono, che vengono inghiottiti, e che come per magia, non si ritroveranno
mai più.
(sto attraversando una preoccupante fase rap, forse però in effetti mi sarebbe servito lui...)