lunedì 23 settembre 2013

Meglio Tardi che Mai...



Il primo giorno, fu un vero e proprio incubo.
Arrivai alla stazione di Bovisa un’ora e mezza prima dell’inizio della lezione, "vai giù un po’ prima che non si sa mai, magari il treno ritarda, non si sa mai"…. Parenti serpenti.
Il treno non tardò, per una volta che avrebbe dovuto, e così arrivai che l’università la stavano aprendo, con il custode che mi guardava compatendomi e io che, imbarazzato, ringraziavo con un filo di voce ed entravo un po’ spaesato. Ricordo che la prima lezione fu dell’immenso professor Patetta, storico docente di storia dell’architettura, matusalemme dalla cultura pressoché infinita, c’è chi narra che sia stato allievo dello stesso Bramante e che in punto di morte gli abbia lasciato le chiavi di Milano, il santo graal e il sapere infinto. Leggende.
Ad ogni modo le sue prima parole, dopo un silenzio surreale di mezzo minuto buono in cui ha scrutato ognuno di noi furono: “voi siete al politecnico di Milano”. Pausa. “Qui, non funziona niente, qui fa un freddo glaciale in inverno e un caldo terrificante in estate”. Pausa. “Voi tutti, anzi, non tutti, solo alcuni di voi, pare che diventeranno degli architetti” (architetti l’ha detto scandendolo, ndr). Pausa lunga. “Dovete sapere che l’architetto è il mestiere più difficile che ci sia. Pensateci, un medico, il peggio che possa fare è uccidere una persona, l’architetto, il peggio che possa fare è costruire un edificio brutto, che poi ci rimane lì nella città, e ci tocca vederlo tutte le mattine quando si va al lavoro…
Quanto a frasi ad effetto il secondo giorno non fu da meno: “gli architetti non leggono, mai. Prendono un sacco di libri in biblioteca, li sfogliano, ma in realtà guardano solo le figure”.
Per arrivare poi, qualche giorno dopo, ad apprendere le due definizioni di architetto che preferisco: “l’architetto è un muratore che ha imparato il latino”. Sul fatto di aver imparato il latino conosco almeno una prof. che ora sogghignerebbe (o sta sogghignando). 
E l’altra: “capisci di essere diventato architetto quando riesci a parlare per due ore senza che in realtà tu abbia detto un cazzo” attività questa invece, nella quale eccello particolarmente. Definito quindi che entro a pieno titolo almeno in una delle due definizioni, non poteva che arrivare il giorno della laurea, il giorno dell’incoronazione. Mi spettava di diritto.
Ed è arrivato frastornante come me l’aspettavo. Tanto che prima di venire chiamato dalla commissione mi concedo cinque minuti chiuso in bagno da solo, lontano da tutti, dieci minuti prima di entrare in campo sto lì con la testa china.... chi non ha seguito i mondiali del 2006 non sa di cosa parlo.
Mentirei se dicessi che questi anni siano stati una passeggiata. Le difficoltà ci sono state, e parecchie, dietro ogni angolo, ma come spesso accade le cose guadagnate con fatica hanno un sapore più dolce.
Per una volta nella vita, ve lo confesso, sono orgoglioso di me stesso, sebbene sia in ritardo, sebbene avessi potuto fare di più o più in fretta, sebbene non abbia fatto un'impresa incredibile ma una cosa tutto sommato normale. Ma l’ho portata a casa, e per il momento, è abbastanza per tirare un sospiro, fare un sorriso e salutare la bovisa, e niente lacrime nei ricordi questa volta, ma pantoni colorati e pinte di birra.

Ora che ho finito però, lasciate che ringrazi le persone senza le quali questa laurea non so se l’avrei presa. 
Però fidatevi, non iniziate a leggere prima che la canzone arrivi all’assolo di sassofono.
un grazie di cuore:
A tutti quelli che c’erano oggi accanto a me, in modo particolare ad Alessandro, che mi ha portato la corona d’alloro, e a Sabrina, che mi ha detto che sono stato “figo” con la commissione, accrescendo così, il mio ego già di per se smisurato.
A chi non c’era, ma mi ha comunque pensato e l’ho sentito vicino…
A quelli che da ieri mi mandano sms, messaggi, email, lettere e piccioni, siete veramente tanti, e avete un cuore grande.
Ai commercianti della bovisa.
A Bruce Springsteen, che mi sono laureato il giorno del tuo compleanno, auguri boss!
A quei professori che sono stati in grado di trasmettermi la loro enorme passione; per le loro lezioni formali, dalla cattedra, ma soprattutto per quelle informali, raccontate faccia a faccia a Postdamer platz,  di fronte a qualche nuovo edificio del trentino, o davanti ad una birra in un castello fuori Basilea….
Alle mie squinzie, a Rosella, che è rimasta pure con la febbre, e poi Alessia, Francesca, Francesca ed Elettra, che sembra ci conosciamo da anni, ed invece solo da quel viaggio a Merano...
Agli “amici della Bova”, a Lorenzo, Michele, Mattia, Andrea, Marta, Veronica, Alessandra, Cecilia, Laura, Roberta e Cristina, amici impareggiabili che mi perdonano costantemente anche se io li pacco sempre (anche se oggi me l’hanno fatta pagare i bastardi!), architetti dal sicuro successo, ma prima di tutto veri amici, dai quali ho imparato di più che da qualsiasi libro…
A Claudio, compagno semplicemente insuperabile.
A Mattia, Davide e Martina, che vi ho visti poco negli ultimi anni, ma quelle volte sono tornato sempre a casa con il sorriso.
A Iacopo, che anche quando parte non è mai veramente lontano.
A Sere, Pera e Poma, per i viaggi ignoranti in grado di ricaricare le batterie…
Ai quattro amici che mi sono stati più vicino nei momenti peggiori dell’ultimo periodo:
A Chiara, per trovare sempre il tempo per esserci.
A Sara, che mentre mi chiedeva consigli per i render e le tavole è diventata più brava di me, e mi conosce sempre meglio di chiunque altro. Congratulazioni tesoro, te lo meriti.
A Lorenzo, per ricordarmi che bisogna crederci sempre.
A Graziano, per i milioni di consigli su qualunque cosa, per la sua dedica speciale (http://appuntisucartadalettera.blogspot.it/2013/09/allamico-laureato.html) e per avermi insegnato come fare a scacciare via i fantasmi.
A Giorgio, per le parole non dette ma lasciate solo intendere, che delle volte, sanno fare più rumore.
Ai miei nonni, per il loro esempio costante, per il modo in cui mi ascoltano e mi guardano...ma a dire il vero un po' per tutto. 
E una dedica speciale, a mia madre, che questa laurea se la merita molto più di me, per credere in me senza soste e senza riserve. Per farmi sentire amato ogni secondo. Per avermi fatto diventare quello che sono.

Vi saluto, mi vien da dire ci vediamo tra due anni maaa…… su dai… facciam tre va…

sabato 21 settembre 2013

#Ligainarena

Un tale una volta mi ha detto che se pensi ad una ragazza durante un concerto sarà molto difficile togliersela dalla testa. In realtà non l’ha detto nessuno, lo dico io, che per molti di voi, altro non sono che appunto un tale che scrive, o dice, frasi senza senso e campate in aria. Uno di quei tali che però, talvolta, ci azzeccano, confermando che la verità si trova nei posti più impensati. E’ un po’ come quando si sogna una ragazza di notte, e la ripensi al mattino. Che pensarla è una scelta, per certi versi, ma se la sogni di notte non ci puoi fare nulla. Forse perché ascoltare un concerto ha molto a che vedere con il sognare. Chiudi gli occhi e i pensieri navigano sballottati da fiumi di note e soffi della voce che gonfiano le vele della zattera sulla quale ti sei assopito stanco dalla giornata, dal mondo, stanco dalla realtà. E non è che ci puoi fare molto. Ma i sogni, restano pur sempre sogni, e non tutti si realizzano, se no che sogni sarebbero?


Raccontare un concerto di Ligabue non è facile. Per nulla. A dire il vero potrei limitarmi a copiare i testi di Arrivederci, mostro! e capireste perché mi piace. Certo, un conto è leggerlo, un conto è sentirlo nel lettore cd della macchina, un altro è vederlo all’arena di Verona.

Ad un quarto alle nove, una luna piena intensa e luminosa fa capolino da dietro al palco per lo stupore dei dodicimila presenti, a rendere ancora più poetico un contesto che già di per sé fa salire la pelle d’oca solo perchè si è presenti. L’arena è gremita, sono tutti puntuali, tutti in anticipo anzi, tutti impazienti. Giusto il tempo di guardarla per qualche minuto la luna, e le luci si spengono, entra il Liga, camminando lentamente, accompagnato dal boato di tutti noi che quasi copriamo gli archi dell’orchestra alle sue spalle e inizia quello che lui stesso poco dopo non definisce un concerto, ma uno “spettacolo di canzoni”. La definizione calza, perché quelli come me, che si aspettavano un concerto rock, un po’ delusi dagli arrangiamenti adattati per l’orchestra lo sono stati, ma non per questo non ci sono state emozioni forti, anzi. 
Buonanotte all’Italia con le immagini sullo sfondo di tutti i veri grandi Italiani che abbiamo avuto, è davvero qualcosa di raro. Il pubblico batte le mani incantate da quella sfilata di uomini che non ci sono più, e vi dico la verità che su alcuni un po’ gli occhi erano lucidi, come sulla foto di Pantani, di Jannacci, o del Sich, per dirne tre a caso.
Poi parla d’amore, anzi, parla del parlare d’amore, dello scrivere il sentimento, di quanto sia difficile tradurre le emozioni in parole, e del tentativo che ha fatto scrivendo ci sei sempre stata, ricordando a tutti noi che c’è qualcuno che ci aspetta, qualcuno che è fatto per noi, e forse che già c'è: "quando il tempo non passava, non passava la nottata, eri solo più lontana, ma tu ci sei sempre stata".
Si gode i suoi fan il liga, e a tratti sembra quasi che lo spettacolo lo faccia tutta l’arena, e lo spettatore in realtà sia lui, anche se non è così. Perché di persone che ci hanno campato sulle sue canzoni ce ne sono tantissime, e lo racconta anche lui, in una delle pause, di quelle quattro canzoni che i fan gli hanno confessato essere delle vere e proprie medicine contro i mali della vita, e le suona tutte, il giorno di dolore che uno ha, atto di fede, niente paura, quella che non sei.
Si è vero, forse lo spettacolo è durato troppo poco, ma non importa, rimangono le sue parole e le emozioni che per forza di cosa si inculcano dentro quando canta dal vivo.


Come ho detto all’inizio, il motivo per cui mi piace il Liga è condensato tutto in Arrivederci, mostro! In quelle canzoni che parlano di vita vera, di emozioni che a tutti capitano, o dovrebbero capitare, la linea sottile tra baciare e mangiare, che chi non capisce questa frase non hai mai baciato veramente!
"A mia volta mi fido del mondo, non ti dico le botte che prendo, non c'è modo di starsene fuori da ciò che lo rende tremendo e stupendo..."
"e sole e pioggia neve e tempesta, sulla valigia e nella tua testa, e gambe per andare, e bocca per baciare..."
"e quando canterai la tua canzone, e te ne fregherai di quanto piove, la urlerai in faccia a chi non vuole, e non sa sentire..."
"ho visto la bellezza, che ti spacca il cuore, e occhi come il mare, nel momento del piacere..."
"mi devi dire, il meglio deve ancora venire"

Canzoni che parlano di quanto sia bella la vita, a patto che non si viva solo per sentito dire, ma si viva a pieno, pur consapevoli del fatto che qualcosa possa andare storto a volte, ma anche che non siamo imprigionati in schemi precostituiti e quindi che possiamo fare in modo di prenderci la felicità.  Ricordandoci, in sostanza, che la vita non è in rima.
Questa non l’ho detta io, l’ho sentito veramente dire da un tale, l’altra sera, sul palco dell’arena di Verona.



martedì 10 settembre 2013

Il Metodo Cantù


Finalmente è arrivato un temporale, dopo giorni che lo annunciano e mai arriva. "Ce lo fanno nasare"....
Ho presentato la domanda di ammissione alla specialistica, con annesso certificato che attesta che conosco la lingua inglese. 
La prova che non tutto ciò che è nero su bianco sia vangelo. Un po' come certi giornali che abbiamo in Italia del resto. Un po’ come questo blog. Un po’ come questo post.
Durante il test mi è tornato in mente un mio vecchio compagno di classe che aveva escogitato (spero anche brevettato) un metodo per passare qualsiasi esame a crocette o a risposta multipla. 
Ci ha campato per 5 anni, il grande Cantù.
L'ho usato nel momento in cui il panico stava iniziando a prendere il sopravvento, durante la listening, momenti drammatici, quando ho capito che forse, prepararmi all’esame “ascoltando un sacco di canzoni in inglese” non sia stata proprio la scelta più furba della mia vita.
Ma in quei casi, il metodo Cantù entra in gioco prepotente a toglierti dalle situazioni di naufragio nel mare di merda. 
Metto una A, poi un'altra A (ne mettono due di fila per confonderti) poi la B non è di certo, non mettono la lettera dopo, nemmeno la D che é l'ultima. È per forza la C. E così via. Giochi di astuzie tramandate oralmente e conosciute solo da pochi eletti.
Mi chiamano dopo qualche giorno comunicandomi che ho superato il test. Mi prende per il culo?
Grazie Cantù. Ma chi ci sperava?!.
E’ incredibile come certe cose vadano a posto da sole, nonostante tutti i miei tentativi di sabotarle. 
Forse chissà che ogni tanto capita di raccogliere quello che si semina. Forse non sono poi un grande sabotatore.

Ho ordinato su internet il poster (famosissimo) con un U.F.O in primo piano, un bosco sullo sfondo e la scritta “I want to believe”. Quello degli alieni. Lo voglio mettere in camera, dietro alla porta, così lo leggo tutti i giorni quando mi sveglio. Un po’ perché in effetti voglio credere agli alieni, altrimenti che cazzo ho guardato a fare per anni decine di servizi di voyager sui cerchi nel grano? E poi anche perché ho ancora bisogno di credere in qualcosa.
Qualche illuminazione ogni tanto arriva, come sempre inaspettata. Ti svegli un mattino e certe cose che ti hanno dilaniato l’anima fino al giorno prima ti sembrano inaspettatamente chiare ed estremamente facili da decifrare. Come decidere non tanto cosa mi interessa nella vita, ma piuttosto di cosa non me ne frega niente, che forse è molto più facile. Definito cosa non vuoi il campo si restringe per cercare quello che vuoi, o quantomeno al massimo cadi in piedi. Me la sono raccontata così. 
Oppure capire che non ho nessun obbligo morale verso le persone che non sono chiare con me e se ne approfittano un po’ troppo. 
Altri giorni invece è tutto un accavallarsi di idee, le une sulle altre, che mi fanno rimanere rincoglionito. Quanto vorrei che l’estasi creativa scacciasse via la pigrizia di non fare nulla. Anche se una volta mi hanno detto che la creatività, se la nomini, svanisce.
Nella pigrizia programmo viaggi che farò, a breve e non. Viaggi in grado di colmare qualsiasi vuoto capiti. Perché i vuoti ogni tanto ci sono, piano piano li sto riempiendo. Anche se alcuni sono davvero difficili da colmare.  Sono convinto che ognuno di noi stia aspettando qualcuno, o magari qualcuno sta aspettando noi. Quello che non voglio è avere a fianco persone che invece i loro vuoti non gli riempiono mai, non ci provano nemmeno, vuoti a perdere e non a rendere.
Nei periodi come questo amo sempre di più il cinema e i film, mi ci rifugio dentro, mi innamoro dei personaggi, al punto che mi sembra di conoscerli come conosco i miei amici. 
Li sogno di notte talvolta. Ma robe strane, non so, che vado a prendermi un gelato con Marty McFly, o che sono sposato con Beatrix Kiddo (la bionda di Kill Bill, per intenderci) che si incazza con me perché non ho voglia di andare domenica a pranzo dalla suocera (che poi mica era orfana?). Il culmine è stato tre notti fa quando Ben Parker di Spiderman mi dice: “Da un grande potere derivano grandi responsabilità” e io che rispondo “Si ma a farsi i cazzi propri si campa cent’anni”.
Si va avanti senza metodo, senza strategia, senza le istruzioni per l’uso, cercando di trovare il bandolo della matassa. E per fare questo ci si arrangia, si usa l’improvvisazione, un po’ come negli esami d’inglese insomma. Aspettando che qualcosa succeda, o io la faccia succedere forse. Sperando solo di arrivarci preparato per una volta, mica da dovermi mettere ad usare il metodo Cantù pure nella vita. 
Che poi in fin dei conti aveva ragione lui, alla fine, è tutto soltanto questione di culo.

http://www.youtube.com/watch?v=gZ4PGDJb7p4

sabato 7 settembre 2013

Lettera ad un Amico Lontano



Caro amico ti scrivo, così mi distraggo un po’, già perché qui le cose son sempre uguali, nel senso che molto spesso è meglio distrarsi un po’. 
Si perché è da un sacco di tempo che mi sento come sui blocchi di partenza per correre questi cazzo di cento metri, ma lo starter non spara, non si parte. Che poi, spara e in dieci secondi finisce tutto, ma almeno posso allenarmi per la corsa dopo. 
Sento che qualcosa sta per iniziare, anche se è tutto ancora molto annebbiato, con una sagoma non ben definita. 
Per il resto, il lago è sempre pieno d’acqua, è sempre bellissimo, ci si vede dentro tante di quelle cose. Gli obiettivi che mi ero posto l’anno scorso, di questi tempi, li ho centrati praticamente tutti, l’avresti mai detto intorno a febbraio o marzo? Io no, e invece. Certo, nella sessione invernale non ho passato nemmeno un esame, mi sono iscritto alla specialistica l’ultimo giorno utile, ho passato inglese giusto due giorni fa dopo che ho avuto un anno per fare l’esame (ne parlerò nel prossimo post), ma cosa vuoi, sono un tipo da ultimo minuto, e in un modo o nell’altro ho raggiunto quello che volevo. 

Sono rimasto molto colpito dai tuoi dubbi, dalle incertezze che mi hai esternato, così simili alle mie, così uguali, noi che di solito siamo abbastanza diversi su queste cose. Ahimè, di risposte non credo proprio di averne, o almeno, non ho formule magiche o teorie univoche ed incontestabili. Quello che ho è un po’ di esperienza, e anche quella, è in continua evoluzione, non è quella di un vecchio saggio con la barba bianca, ma quella di un ventenne che ama correre, salire sui treni e scendere alla fermata sbagliata, giusto per avere qualcosa a cui dare la colpa forse.
Ecco che quindi non lo so se vale la pena fare di tutto per conquistare persone che non hanno voglia di essere conquistate, non hanno niente da darci che già non abbiamo, forse non ci meritano. Forse no, non ne vale la pena, perché come dici tu, anche a riuscire a farle nostre vivremmo con un senso di inadeguatezza che ci tormenterebbe. La logica e il buon senso direbbe questo, ma ho imparato che molto spesso si scontrano con l’istinto, e per guardarsi indietro senza paura di ricordare forse è bene non darle troppo ascolto (alla logica ;) ).
Il problema è che rinunciare e non andare fino in fondo, ti eviterebbe probabilmente delle sofferenze, ma quanto sarebbe brutto guardarsi indietro e ricordare?  Vivere con il rimpianto di non aver fatto qualcosa è il peggio che possa capitare, non lo auguro a nessuno.
Ecco perché da me, sconfinato ottimista, eterno sognatore, non sentirai mai nessun consiglio diverso da quello di andare fino in fondo e mettercela tutta per ottenere quello che vuoi. Fatti conoscere, mostrale tutti i lati di te, quelli che vedono tutti, e quelli che vedono solo alcune. 
Fatti dire di no, ma fattelo dire dopo che si sia dilaniata l’anima sapendo che di persone come te ce ne sono poche, fatti dire di no dopo che abbia parlato con tutte le sue amiche, fatti dire di no dopo che una lacrima le sia scesa, e magari, fatti dire di si dopo che ti ha detto di no, perché una volta rimasta sola ha capito che le mancavi.
E’ vero, forse ti sveglierai una mattina e magari guardandola la sentirai distante, la sua voce fredda, il suo sguardo distaccato. Sarà quello il momento giusto per andarsene, e non aspettare, non indugiare, non pensare di poter fare qualcosa per cambiare la situazione, non potrai fare più nulla, perché avrai già fatto abbastanza. E’ un rischio da correre, e in fondo lo sai già se vale o no la pena di correrlo. Ma guardandoti indietro, sono convinto che sarai contento di averci provato, di aver tentato, che tanto lo sai, che non è mai tempo per quelli come noi, che forse è vero che null’altro possiam fare se non continuare a correre, per raggiungere ciò che sembra sempre troppo lontano, del resto se no che gusto ci sarebbe;
together we could break this trap - we’ll run till we drop - baby we’ll never go back - will you walk with me out on the wire - ’cause baby I’m just a scared and lonely rider - but I gotta find out how it feels - I want to know if love is wild - girl I want to know if love is real.
Costa caro essere ricchi (non di soldi, ovviamente), e anche avere il compito, ma anche il privilegio, di sapere di portar qualcosa di buono nella vita degli altri. Quelli nati per correre lo sanno bene, come lo sai bene tu, ma alla propria natura non ci si può sottrarre, sarebbe come vendere la propria anima.
Un amico una volta mi ha detto che l’umanità è più adatta ad ospitare chi ha risorse medie piuttosto che chi vola sopra, credo che sia vero.
Poi oh, per quel che serve, nel caso ci saremo noi ad aiutarti a scacciar via la malinconia.
Un abbraccio. 


domenica 1 settembre 2013

Impressioni di Settembre


"Tu non sei come gli altri, Dann, tu fai delle cose, tante cose, e ne immagini ancora delle altre ed è come se non ti bastasse una vita sola per farcele stare tutte.
Io non so... a me la vita sembrava già difficile... sembrava già un'impresa viverla e basta. Ma tu... tu sembra che devi vincerla, la vita, come se fosse una sfida....sembra che devi stravincerla... una cosa del genere. Una roba strana. Un po' come fare tante bocce di cristallo... e grandi.... prima o poi te ne scoppia qualcuna... e a te chissà quante te ne sono già scoppiate, e quante te ne scoppieranno... Però... Però quando la gente ti dirà che hai sbagliato... e avrai errori dappertutto dietro la schiena, fottitene.
Ricordatene. Devi fottertene.
Tutte le bocce di cristallo che avrai rotto erano solo vita....non sono quelli gli errori..... quella è vita... e la vita vera magari è proprio quella che si spacca, quella vita su cento che alla fine si spacca..... io questo l'ho capito, che il mondo è pieno di gente che gira con in tasca le sue piccole biglie di vetro....le sue piccole tristi biglie infrangibili..... e allora tu non smetterla mai di soffiare nelle tue sfere di cristallo..... sono belle, a me è piaciuto guardarle, per tutto il tempo che ti sono stato vicino... ci si vede dentro tanta di quella roba..... è una cosa che ti mette l'allegria addosso... non smetterla mai..... e se un giorno scoppieranno anche quella sarà vita, a modo suo..... meravigliosa vita."
                                                                                                                         A.Baricco, Castelli di Rabbia

 “One, two, Freddy’s comin’ for you; Three, four you’d better lock for your door; five, six, grab a crucifix; seven, eight, you’d better stay up late; nine, ten…never sleep again”. 
E’ il 1984 e nel cinema horror fa la sua comparsa Freddy Krueger, il mostro con la faccia bruciata e gli artigli al posto di una mano, un’ icona destinata a diventare importantissima nella storia dell’horror.
Il film è Nigtmare – Dal profondo della notte, il primo di una saga di sette, una delle più influenti nella storia del cinema di genere. Uccide le sue vittime nei sogni, Freddy, anzi, per meglio dire, negli incubi di un gruppo di ragazzi che abitano una piccola cittadina americana. La protagonista è Nancy, una ragazza che prova a combatterlo, fino alla fine, insieme al suo ragazzo: Glen.
Ad interpretare la parte di Glen, è un giovane ragazzo di 21 anni di nome John, originario di Owensboro, Kentucky. John è il più piccolo di quattro fratelli, suo padre è un ingegnere comunale e la madre una cameriera del paese. Si affeziona sin da piccolo al nonno, che li trasmette la passione per la musica. Muore presto il nonno di John, quando ha solo 7 anni, e questo evento, unito ai continui traslochi dei genitori (una ventina in pochi anni) lo destabilizza parecchio, privandolo della serenità ed impedendoli di trovare amici stabili, trasformandolo così in un ragazzo chiuso e scontroso. Attraverso la chiesa presbiteriana dello zio coltiva la passione per la musica fino a quando a 12 anni accarezza la prima chitarra elettrica. John inizia così ad esercitarsi nel buio della sua camera, diventando in breve tempo un chitarrista piuttosto dotato. Come spesso accade nelle periferie americane, in un garage sgangherato, John, ed altri ragazzi come lui, fondano una band: i The Flame, che poco dopo cambiano nome in The Kids. Sono un buon gruppo tanto che sul finire degli anni ’70 suonano in diversi locali della Florida e arrivano addirittura ad aprire alcuni concerti dei Talkin Heads e di Iggy Pop. Tuttavia alla band non riesce il salto di qualità, rimanendo segregata in un successo regionale poco remunerativo. Così John, sempre a corto di denaro, anche a fronte della sua vita sregolata, è costretto ad arrangiarsi trovando lavoro come muratore, benzinaio, meccanico, stampatore e venditore telefonico di penne e spazi pubblicitari.
E’ il 1984 e un visionario regista di film horror di nome Wes Craven, organizza dei provini per il suo nuovo film: Nightmare – Dal profondo della notte. John, quel giorno, decide di accompagnare un amico al provino. il regista però nota subito lui, ne rimane colpito, affascinato, lo scruta,  lo convince a provare, e infine lo sceglie. L’ormai ex chitarrista dei The Kids riuscì a trovarsi nel posto giusto, il giorno giusto.
A Wes Craven bastò uno sguardo, e la vita di John (detto Johnny) Christopher Depp cambiò per sempre.

La fortezza Bastiani era l’ultimo avamposto prima del Nulla. Prima del deserto infinito, che nessuno aveva mai percorso, da cui un giorno si temeva potessero arrivare i Tartari. Il Capitano Drogo finì lì, per caso, per sbaglio. All’inizio non accettava che lui, brillante guerriero, fosse stato assegnato a quell’inutile e dimenticata rocca. Il silenzio della notte lo distruggeva, l’unico lontano rumore di una tubatura che perdeva una goccia d’acqua, diveniva un frastuono che devastava la sua mente; la solitudine, la diffidenza verso i  commilitoni ,che sembravano custodire misteri inconfessabili, gli facevano bramare in ogni momento di andarsene, fuggire, lasciarsi alle spalle quella silente follia.
La vita però passò, e quella silente follia divenne la sua droga. La sua e quella dei suoi commilitoni che ogni momento, ogni giorno, ogni notte, scrutavano l’orizzonte sconfinato e deserto attendendosi di avvistare i tartari. Ognuno per se stesso, ognuno custode geloso di ogni traccia avvistata o immaginata.
Consunto da quella vita, il tenente Drogo invecchiò in fretta nelle malsane celle della fortezza Bastiani. Le forze ogni giorno affievolite ed insufficienti a combattere quella invisibile e mai dichiarata guerra tra fratelli per custodire ognuno i propri segreti, ognuno il proprio segreto.
I tartari arrivarono una notte. L’esercito ormai non sapeva neppure più dell’esistenza della fortezza Bastiani e non si sapeva neppure della minaccia dei tartari.
Gli uomini della fortezza Bastiani da soli, con il loro segreto, ognuno il proprio, ognuno la propria guerra .
Drogo solo ed ormai vecchio.
Un nuovo capitano lo affiancava al comando della fortezza, più giovane e più forte. Anche lui con la sua guerra. Ma prima di combatterla, per non rischiare di doverla dividere, diede ordine di preparare una carrozza, fece caricare Drogo e lo fece portar via.
Mentre il fragore della battaglia, scopo di una vita, si avvicinava, Drogo si allontanava, dalla parte opposta. Un nuovo nulla, questa volta vuoto.

Si può decidere di fare o di aspettare, ed ogni anno, a settembre, non so mai cosa fare.
Le giornate che si accorciano, inesorabilmente.
L'odore dei libri di scuola, nuovi, appena spacchettati.
Il sole che diventa troppo debole perché ci si creda.
Mio nonno che mi viene a prendere all'uscita.
Io che mi vergogno di pensare già a Natale.
I miei che se ne vanno in vacanza.
Il festival del cinema, che vedo sempre dalla tv. Ma l'anno prossimo ci andrò....
L'estate del 2006 che finisce, a malincuore.
Quella del 2011 che non riuscivo a farla finire, mentre ascoltavo One sunday morning, che dura 12 minuti, e quasi sembra infinita. Ma le cose infinite sono tutte illusioni.
Le scelte di settembre, che chi vuol fare tutto rischia di non fare mai niente.
Rimbombano le domande che fa settembre, tremendo inquisitore.
Assassino di sogni, uccide, con sferzate di realtà.
Pentoloni di idee che cuociono, e si mischiano, le une con le altre, si sovrappongono i sapori, nessuno prevale, generando un piatto oltremodo indigesto.