sabato 27 aprile 2013

Il mio Puzzle



Inizio a pensare che tutto sia come un grande puzzle.
Il disegno sulla scatola non si vede molto bene, si è già un po’ sbiadito. Forse l’ho anche persa, la scatola, quando ho rovesciato tutti i pezzi per terra. Non mi ricordo nemmeno che cazzo c’era disegnato. Mah si ma meglio. Preferisco che sia una sorpresa alla fine, se no perché dovrei mettermi a farlo sto puzzle?.

Ci sono qui davanti una serie di pezzi. Inizio a dividerli per colore, si insomma quelli rossi non si agganceranno di certo con quelli tutti blu. Separo gli ambiti, seleziono le priorità. Perché un puzzle ha tanti aspetti, non basta finire solo un’area, devi incastrare tutti i tasselli se vuoi che si veda un bel disegno alla fine. 
Certi pezzi ancora non ho capito che cosa rappresentano. Poi ci sono quelli che non ho proprio capito cosa siano. Hanno un misto di colori, alcuni non hanno nemmeno la forma giusta.
Ecco lo sapevo, alcuni non c’entrano niente, mi sa che se ne sono mischiati un po’ da altre scatole. Ma si dai, adesso, con calma, quelli che non sono giusti li butto via.
Per fortuna che qualcosa è già fatto. C’è la cornice già pronta, e non è poco. Una piccola parte intorno ad essa ormai l’ho data per scontata. Sembra giusta, anzi è giusta. E’ anche bella.
C’è un’altra parte già praticamente finita, quella più vicina a dove sono seduto, però c’è un buco in mezzo e non riesco a trovare il pezzo giusto. Ne ho provati un po’, ma nulla. Sono anche andato ad aprire altri puzzle per vedere se per sbaglio fosse finito lì. Niente. Ma vuoi vedere che era questo qui che avevo provato una volta e non entrava?! forse non l’avevo attaccato con convinzione.
Ogni tanto sono lì sotto il naso, non ti serve andare a cercarli chissà dove. Altre volte sì che hai bisogno di qualche giorno lontano per trovarli. Delle volte sembrano giusti, e poi ti accorgi che non lo sono per niente. A volte invece si staccano da soli, una mercoledì pomeriggio, ad un tratto. L’incastro non funzionava, io l’avrei anche lasciato lì, mi sembrava davvero che ci stesse bene, a tratti ne sono stato sicuro. In effetti però, col tempo, trovando altri pezzi, forse l’avrei capito anche io. Quindi meglio così no?! Lo metto dì là, in quella scatola, magari lo attaccherò poi, o forse, è semplicemente di un altro puzzle.
Guarda questo, ha la forma giusta, però le linee del disegno sono sbagliate, non coincidono. Quanti ce ne sono di pezzi falsi in giro. Adesso prendo un pennarello e lo coloro per bene. Ma no dai, non ho mica bisogno di barare. In fin dei conti i tasselli da incastrate sono dappertutto, è pieno il tappeto, è solo questione di scegliere quelli giusti.
Però sono stufo di non attaccarne di nuovi, adesso prima di provarli li esamino e li scruto, li osservo. cerco di capire come sono fatti davvero. 
E’ vero, nei puzzle si sbaglia spesso, è una cosa normale. Però indovinare qualche pezzo ogni tanto non mi dispiacerebbe. 
Io, che una volta mi dicevo, “io i pezzi dei puzzle li capisco al volo”.
Dai ne provo uno a caso, che botta di culo è entrato! Uno ogni tanto ci vuole. Incredibile come alcuni vadano a posto da soli, senza che nemmeno me ne accorga. Magari li ha attaccati qualcuno, mentre dormivo, o mentre guardavo da un’altra parte.
Esistono poi le sorprese. Ma no ma dai, non ci credo che quel pezzo andava lì. Non c’entra nulla, eppure. L’incastro è giusto. Si è nascosto, finchè non l’ho guardato con altri occhi. Quelli insospettabili sono sempre i più belli, sia i pezzi che gli incastri.
Bello fare puzzle. Che poi in effetti è bello anche farne delle parti a caso, che ancora non sai dove andranno,  e tenerli lì, chissà che poi non li aggancierò in seguito. Magari arriverà un giorno che non riuscirò a capire quel buco come andrà colmato, e forse dirò, per fortuna che avevo questo da parte, l’ho fatto tanto tempo fa, senza sapere se mai mi sarebbe servito.  E se invece sarà di un altro disegno pazienza, cosa vuoi, anche aiutare qualcuno a fare il suo di puzzle non è poi così brutto.
Dai sembra stia venendo bene per il momento. Mi piace, sta iniziando ad essere davvero come lo vorrei. Il disegno però si intravede soltanto, può ancora essere qualsiasi cosa.
Cazzo però, quanto tempo ci vorrà a finirlo?  è enorme, non sono nemmeno ad un quarto.
Mi sa proprio che ci vorrà una vita…

sabato 20 aprile 2013

Come Quattro Cani Randagi


http://www.youtube.com/watch?v=vXu7ZcTIy68, se finisce fatela ripartire.

Che sarebbero stati giorni asini lo si sospettava fin dal principio.  L’organizzazione del viaggio, all’insegna del pressapochismo e della superficialità, stava incanalando tutto verso una consapevolezza comune che la situazione stava inesorabilmente degenerando prima ancora di cominciare. Entrambi lo sapevamo ma nessuno aveva il coraggio di ammetterlo . Tuttavia erano solo sospetti, io e il mio compagno di viaggio Marc Evenings, ci illudevamo ancora, a pochi chilometri da casa, che, in fin dei conti, qualcosa di buono, non dico culturale, ma almeno di dignitoso l’avremmo tirata fuori da questi giorni. La certezza di entrare nel festival dell’ignoranza convinta e condivisa è arrivata a pochi chilometri da Monaco. Il telefono squilla. Chi chiama è lui, Micheal Silver, meglio conosciuto nell’ambiente come The Uncle Pear.

Uncle Pear tranquillo, 70 kmq siamo lì. Inizia a chiamare Alexander Pussy, The Apple. Mangiamo da te una roba al volo? Abbiamo una fame che tra un po’ ci addentriamo nella foresta nera con arco e frecce. 
Se se, tranquilli, preparo pasta pummarola e tonnazzo. Commovente Uncle Pear, va benissimo.
Arrviamo, parcheggiamo, suoniamo. Non c’è nessuno. Nessuno apre. Ma dove cazzo sono? Arrivano da lontano che sembrano i gemelli diversi, la strana coppia, Gianni e Pinotto, i Blues Brothers, Stanlio e Olio. Imbruttitissimi. Vi trovo in forma ragazzi (bugia). Strano, dobbiamo cucinare noi. Dai Apple lava i piatti che poi andiamo in centro.
Cosa ci proponete ragazzi? Qualcosa di tipico dai. Puzz che scendiamo a sendigator (Sendlinger Tor), facciam un gir, e poi andiamo alla torre cinese. Minchia alla faccia del tipico. Ma qualche museo? Mah c’è la pinoteca (pinacoteca) ma forse siete già stati. Mah in realtà Uncle Pear, di “pinoteche” ne ho viste poche in vita mia. Stasera vi portiamo a mangiare una schnitzel che non sta nel piatto da quanto è grossa, sarà mezzo chilo. Ottimo, bene così. Torre cinese dai, che spinano la birra, Evenings dai offri te. si una, due, tre….. Però i brezel sono proprio buoni. Sta birra poi va giù. È bello rivedervi ragazzi, ci mancate sempre. Ma la schnitzel di stasera è davvero così grossa? Altrochè! Sarà un chilo di carne. Dai ci svacchiamo nel parco, tanto la città l’abbiam già vista. Ci vorrebbero i cartit (carte) per fare un scuvet (una scopa). Che sonno però, stasera tranquilli e domani serata. Ma è davvero un chilo la schnitzel? Ma va, sarà anche un chilo e mezzo. Minchia oh, ogni volta che ve lo chiediamo aumenta, ora di stasera ce la servono direttamente in strada che non ci sta mica nel locale.  Certo che in giro qui sono tutte brutte. Apple: Booody sexy. Andiamo a mangiare sta schnitzel. È davvero enorme. Evenings non la finisci? La portiamo via tranquillo. Eccola la Spezzi che è qui in erasmus, ti trovo meglio che mai cara. Però che sonno, domani si dorme. Notte. E la schnitzel avanzata l’abbiamo dimenticata fuori dal pub cazzo.

Birra al mercato? Mangiamo lì e poi andiamo a prendere Apple a scuola. Che casino di gente. Ricordami che devo mangiarmi uno stinco di maiale prima di partire. Stasera andiamo al kulturfabric (kultfabric) ok? Ci si trascina con andatura imbarazzante al BMW center. Bello Uncle Pear, bel posto. Tè vist? C’hanno i cash qui in Germania. Birretta? Anche oggi tutte brutte in giro. Passa una sui pattini che ci travolge. I love you, I want you, I need you. Va che quelli lì vicino al laghetto secondo me adesso volano in acqua. Mi abbioccherei qui nel parco. Cazzo dovevamo andare a prendere Apple a scuola, ci siam dimenticati, guarda se ha scritto qualcosa. Si, ci manda qualche santo e qualche madonna.  Allianz arena. Che stadio, ch’hanno proprio i cash, no Uncle? Se se, puzz.
Troviamoci al Va piano che a mezzanotte Apple finisce di lavorare e  poi usciamo. Sta tirando su i cuscini delle sdraio, più lo guardo più me lo immagino a lavorare al porto di Genova, ha quell’alone dello scaricatore di porto che ormai fa parte di lui. Va che grazia. Che gente che siete Pear e Apple, state colonizzando Monaco parlando un misto di tedesco italiano, inglese e dialetto milanese. Praticamente polacco. Avete insegnato ai bavaresi parole della vostra lingua come: inzalla, puzz, ovunq… ma non vi vergognate? Altro che vergognarsi. La mia è tutta invidia.
Puzza che al Kultfabric non ci fanno entrare. Ah bene dillo solo ora Pear. No ci fanno entrare ci fanno entrare. Quanto costa l’ingresso? 3 euro? Mi prendi in giro?.. si entra. Santo iddio il paradiso. Si ma beviamo poco che non abbiam tanti cash noi, siam mica tedeschi. Quanto costa un cocktaeil? 3,5 euro. Se ciao…. Offri dai che il prossimo lo pago io. Si il prossimo io. Uncle Pear te? Paghi un cazzo eh, come al solito razza di un rabbino. Allora, dentro mi raccomando, in due bene, in tre mmm, in quattro no, al massimo facciamo due squadre! Che notte. Ma tu sei di Berlino? No veramente no. La bionda va che ti punta Pear. Apple stasera guarda solo le cinesi. Evenings: Va che quella che balla con te ha il ragazzo. Bè non mi sembrano molto affiatati. La ragazza ideale, la madre che vorrei per i miei figli. Fradicia che non sta nemmeno in piedi. Ma che ore sono? Casa, se troviamo la strada. Ma quello è il sole che sorge o un lampione? Ho un po’ di fame. Andiamo a vedere se la schnitzel avanzata è ancora là fuori dal pub di ieri?

Oggi niente birra, almeno fino a stasera che è l’ultima. Poi da lunedì si cambia vita. Basta alcol e sigari/ sigarette. Si ma se usciamo cosa beviamo? Succo? Un bicchiere di rosso, dicono che faccia bene. Eh magari poi fumiamo la pipa al posto delle sigarette. Un cambio di vita radicale proprio, uomini nuovi. Mercato ancora che Apple stavolta porta i cartit. Ore 4 colazione stinco, birra, brezel al burro. Dio che vita. Un paio di giorni ancora e mi abituo, io ve lo dico. Inizia a piovere, che gocce grosse che cadono in Germania, c’hanno proprio i cash. Stasera ragazzi mangiamo al Va Piano, passateci qualcosa gratis. Uncle Pear sei davvero professionale. Poi se non vai in giro con il culo fuori per il locale ci fai un favore. Si va dove siamo andati ieri? Si si carichi carichi. Rimbalzati. Ecco. Mica che… andiamo nell’altro va. Mmm bello. Quelle lì secondo me sono italiane. È ora di tirar fuori l’inglese livello b1 che vanto. Where come you from?. Che pronuncia, che padronanza, che schifo. Risposta: Italy. treeek… serve un grido di battaglia: Eins Zwei Polizei. No meglio miii yooomo, all’arrembaaaggio! Anche oggi si son fatte le cinque andiamo che domani si parte. No aspetta. My dream is to fly, over the rainbow… 

Tra poco partiamo, il tempo di salutare la Spezzi che è venuta a trovarmi. Spezzi vuoi salire a vedere casa di Uncle Pear? Suona il campanello. Apple al citofono: salite solo se avete le tette grosse! Cazzo Apple non siamo solo io e Evenings abbiamo ospiti. Figura di merda. Ma se cercassimo casa qui Evenings? Un lavoro salta fuori. La lingua si impara. Che motivo abbiamo per tornare? Forse un paio, al massimo. Mi viene la depressione a tornare a casa. Farò un weekend a letto senza vedere nessuno. Non si può stare qui tre giorni e poi ritornare da dove siam venuti. Annusare questa vita e poi tornare a quella vecchia. Poi da noi i brezel fanno schifo. Però è stato bello come sempre venirvi a trovare. Stavolta però di più. Forse stiamo invecchiando. Forse in questi tre giorni ho tirato un po’ le somme e capito certe cose, chissà che da sbronzi si ragionii meglio. Forse per una volta ci piacerebbe partire noi, e che a trovarci veniste voi. Forse che partendo sapevo quel che fuggivo, ma non quello che avrei trovato. Prima o poi però qualcosa dobbiamo rischiare. Non voglio tutto scritto, siamo troppo stretti. Qui posso essere ogni giorno chi voglio, ogni giorno una persona diversa. Metti su le valigie. Evenings sei proprio sicuro di partire? No. Eh, nemmeno io. Accendo la macchina, magari a metà torniamo indietro. Almeno alziamo la musica e andiamo un po’ veloci, che in Germania non ci sono limiti, di nessun genere. 
A presto amici, siete sempre i migliori. C’è tempo anche per una lacrimuccia. Ma no che è solo un po’ di pioggia.




lunedì 15 aprile 2013

Uomo da Infradito

http://www.youtube.com/watch?v=bqg90Qj2ApU

Ogni anno succede così. Si inizia a pensare alle vacanze estive appena finito Natale, con il panettone ancora da digerire e l’odore di mandarini, le luminarie accese e il camino che scoppietta. 
Idee lanciate in aria, niente di che. Si sprecano i “ma si tanto c’è tempo” e si abusa dei “quest’anno facciamo qualcosa di diverso”. Si sondano terreni, si propone, si chiede, i più arditi promettono.
Poi arriva aprile, non si sa come (sembra ieri che si brindava per capodanno). Salgono le ansie. Dove si va quest’estate? 
Si parte sparandole grosse, della serie: safari in Namibia, tenda e bicicletta a Puerto Rico, Islanda in scooter (che tanto è piccola la si gira facile, nemmeno fosse l’isola d’Elba). Per poi ritornare alla realtà e soprattutto al budget, di anno in anno sempre più limitato, non so perché, convincendosi a scartare ogni ipotesi per i motivi più futili e insensati: In Namibia sarà pieno di zanzare e spendiamo troppo di autan, a Puerto Rico rapiscono gli europei (tutti eh, nessuno escluso), in Islanda in scooter farà freschino, per fare due fanghi termali tanto vale andare a Prè Saint Didier.

Ma il problema grande è che non ci si fa mai questa domanda: ma che cosa vogliamo trovare in un viaggio?

Voglio trovare il bianco delle case della Grecia. Voglio perdermi nelle insenature, nei costumi e nei tramonti delle sue migliaia di isole. Voglio sentirmi lontano da casa, tanto lontano. Voglio dimenticarmi la strada dalla quale sono arrivato. Voglio mangiare yogurt greco a colazione pranzo e cena. Voglio  citare a sproposito Platone e Aristotele. Voglio arrivare in ritardo al traghetto e riuscire a salirci per un pelo. Voglio scoprire calette nascoste e accenderci un fuoco la sera per cuocere qualche spiedino con in mano una birra, tuffarmi nelle onde di mezzanotte, e addormentarmi sulla riva perché troppo stanco per tornare dove alloggio. 
E voglio infine avere le infradito, per non avere la sabbia nelle scarpe.

Voglio trovare il carattere della Sicilia. Voglio prendere una nave per arrivarci e stare a poppa a vedere la costa che lentamente svanisce. Vorrei attardarmi nelle rovine dei templi di cui è disseminata per sentire la finitura della pietra con la quale sono fatte le colonne, stupirmi della loro grandezza, apprezzarne le proporzioni. Voglio decidere che ingrassare, qui, ne vale la pena. Voglio sorridere dell’accento della gente del posto e fare in modo che contamini il mio modo di parlare. Voglio innamorarmi del loro essere caldi e passionali. Voglio vedere se è vero che in Sicilia piangi due volte: quando arrivi e quando te ne vai. 
E voglio infine indossare le infradito, perché con le scarpe ci si prende troppo sul serio.

Voglio (ri)trovare il caldo afoso dell’Andalusia che ti costringe ad andare a cena a mezzanotte perché prima non si riesce a fare altro che lamentarsi del caldo che fa. Voglio impararmi a memoria la guida della lonely planet e poi fare tutto il contrario di quello che ho programmato. Voglio ordinare tapas a caso e ubriacarmi dolcemente di sangria, sentirla che scende nello stomaco in punta di piedi e salire poi in testa con estrema eleganza. Voglio accarezzare l’erba dell’Alhambra, ancora una volta. Voglio assaporare la differenza tra il mare e l’oceano, senza riuscire a scegliere cosa preferisco. Voglio tornare in un posto dove potrei passarci tutta la vita, o almeno guardarlo dal finestrino mentre passo. Voglio perdermi nello sguardo di una ballerina di flamenco e addormentarmi con la finestra dell’ostello aperta per sentire il messicano in strada che suona e canta Manu Chao alle cinque del mattino. 
E voglio infine mettere le infradito, perché non voglio perdere tempo ad allacciarmi le scarpe.

Ora vado a fare la valigia per Monaco, le infradito le lascio a casa. Per ora.

giovedì 11 aprile 2013

La Buena Minchia

http://www.youtube.com/watch?v=bGqma7L8P1k
Rompo il silenzio che mi ero imposto. 
Si perché, saranno anche finite tutte le stagioni del lago che voglio ma qui la primavera non è mica arrivata, quindi invece che sollazzarmi su una spiaggia con un mojito, invece di girare ancora a rubare (scroccare mi sembrava limitativo) aperitivi al FuoriSalone, sono a casa a lavorare, dunque scriviamo qualcosa, in attesa di partire per Monaco, che poi non so mica se torno… vi va bene che la città non mi fa impazzire ma se solo Ziopera si fosse trasferito a Siviglia ciaoo…
Comunque niente, volevo solo condividere con il resto del mondo lo scambio di mail che c’è stato ieri tra me e il mio capo:

da: Capo
ore: 22.40
oggetto: La buena minchia
Ecco! 
Uno si mette lì dopo aver finito la gara del verde di Laveno alle 10 di sera (che scade domani mattina), guarda un po’ repubblica, varesenews, il meteo, il traffico…. Poi va a vedere cosa ha scritto il Giankomix (io ndr).  E dopo cotanta fatica ed ansie, psichiatrie di imprenditori, marasmi di erba che inizia a crescere etc cosa scopro? Che gli è venuta voglia di tirar fuori la barca, uno dei miei peggiori incubi, peggio degli archiaperitivi glamy e delle alpi che bloccano il wireless.
Che lì l’hai messa giù lunga, tra brezze ed odori infarcite di citazioni archistar, ma il messaggio è uno e chiaro: si sono aperti i cancelli del cazzeggio, è stata spolverata l’agenda dello sminchionamento fancazzistico: ci rivediamo a settembre di ritorno dalle vacanze.
Ero già lì che mi immaginavo tutta la provincia misurata a colori confortato dalla tua fase stakanovista. Adesso mi vedo lì sulla riva del lago che ti chiamo con il megafono tipo gli istruttori di canoa, postulando che appena ti si libera mezzoretta mi misuri un vicolo.
Che poi l’altro risvolto inquietante della primavera è che ti si risveglierà la natura, ti troverai una morosa nuova e lì, quei pochi ritagli che ti lascia libera la barca sono andati.
Mi vedo nel buio del mio ufficio, ricurvo su gugolmap, col righello dritto a misurare le strade in curva e ad ingrovigliarmi con le proporzioni….3 cm sono 20 metri, allora 10 cm sono ..bho?
L’ho sempre detto io, e lo ribadisco anche in età adulta che sono meno influenzabile dagli agenti esterni, che la primavera mi sta sul cazzo, l’estate la odio, si ricomincia a campare in autunno! Ecco.

da: Me
ora: 02.47
oggetto: Stai tranquillone
La verità é purtroppo che per evidenti ragioni di meteo la barca dovrà aspettare nel suo ricovero per qualche tempo. E inoltre ormai la fase stakanovista mi appartiene come il cacio ai maccheroni, il grasso a Giuliano Ferrara e come la neve alla banchina della stazione di Malnate quando siamo andati a spalarla (incubo ricorrente che mi fa svegliare sudato la notte).
Per quanto riguarda poi il risveglio della natura, e la mia ricerca di una nuova ragazza, guarda…ma vai proprio sereno che con l’impegno che ci sto mettendo siamo ben lontani da una qualsiasi nota positiva su un qualsiasi fronte che riguardi una qualsiasi ragazza di una qualsiasi età, razza, religione e stato civile. Proprio non c'è niente di cui preoccuparsi, reputo decisamente più probabile un’invasione aliena, che il pd vinca le elezioni o che io passi l’esame di meccanica delle strutture (no quest'ultima è davvero impossibile)...
Prima che le cose torneranno ad andare bene su quel fronte faccio in tempo a misurare tutta la provincia di Varese, Como, Mantova, Bergamo, Lucca, il regno delle due Sicile e parte del sacro romano impero, con tanto di email invece che all’ufficio tecnico di Gemonio e Luino al povero Carlo Magno (me lo immagino su di un cavallo bianco, con l'iPad in mano imprecando perché a Mediolanum non c’è ancora il wi-fi free). 
Detto questo domani ti mando il progetto di Malnate e una prova di locandina! Dormi sereno senza ansie di erbe, numeri e gugolmappi.

Ecco poi però, non pretendete che io sia una persona seria, come vedete ce la metto tutta…

giovedì 4 aprile 2013

La Buena Vida


Fidatevi, non leggete senza sotto questa.

Ieri, dopo tanto tempo, ho sentito finalmente puzza di primavera.
L’ho sentita ad un tratto e senza che ci stessi pensando, è arrivata repentina come un fulmine. E’ entrata nel naso, l’ho respirata a pieni polmoni, per qualche secondo. Improvvisamente, è stato lampante come stia tornando la stagione della buena vida.

Per chi non avesse inteso, La Buena Vida è una barca, mia e di un mio amico, è la barca della “compagnia” a dirla tutta. Si chiama così in onore di un libro che lessi al primo anno di architettura: “la buena vida” appunto, di Inàki Abalos. Un testo che racconta i diversi modi di abitare alcune tipologie di “case” che hanno segnato la storia del secolo scorso, tra cui anche la Factory di Andy Wharol ad esempio, e di come questi modi di abitare, in relazione alle correnti del pensiero contemporaneo, abbiano influenzato il modo di progettarle. Il nome però, non gli è stato dato perché venisse tradotto con “la bella vita”.
Assolutamente no, la buena vida non è niente di tutto ciò. Non c’entra nulla con la vita da milanesi al mare o da costa smeralda.
Come insegna il buon Inàki, La buena vida si traduce con: il buon abitare, il vivere bene, di qualità e con qualità. Questo perché, non me ne voglia Augè e le sue teorie sui non-luoghi,  ogni posto è un luogo e ogni luogo va abitato con qualità. Anche una barca, anche il lago secondo me. Abitare non è facile e abitare correttamente non è affatto scontato. Anzi, credo anche che chi non sappia abitare bene non possa nemmeno progettare bene (ma queste sono robe mie, lasciamo perdere che sto divagando).
Ad ogni modo, non so se avete presente come sia questo odore che dicevo. Cerco di farvi capire cosa intendo. E’ lo stesso odore che si sente, certe sere d’estate, in barca sul lago.
Non è sempre facile sentirlo. Capita a volte, circa un’ora dopo che l’ultimo raggio di sole sia sparito dietro alla collina, che arrivi una brezza, nè leggera, nè decisa, nè calda nè fredda. Spira come se non avesse mai fatto altro nella sua vita. Accarezza la gambe e le braccia senza far venire la pelle d’oca e scivola sull’acqua, priva di onde. Ti guarda come una ragazza vergognosa e in quei momenti, tutto è come pensi che debba essere. E’ giusta la temperatura, è giusta la luce, è giusto il luogo. Stai bevendo una birra, che ha il sapore che deve avere, sei con le persone con cui dovresti essere, e l’idea che hai in quel momento, è sicuramente la cosa giusta da fare.
Capita che una di queste idee sia spingersi più avanti con la barca, e la cosa bella di quando ti muovi sull’acqua, è che non capisci mai dove realmente tu sia arrivato. Non c’è traffico che ti rallenta, né rotonde o semafori a scandire il tuo viaggiare, non ci sono strade o cartelli e, cosa strana, non hai confini da oltrepassare. Non si capisce mai a che livello di costa sei e quindi prosegui tranquillo, senza capire quanto realmente ti stia allontanando da casa. Acceleri e alzi la musica, perché non puoi davvero tenerla bassa, e magari vai incontro al temporale che sta arrivando. Lo vedi da lontano l’orizzonte, misterioso e terribilmente affascinante, proprio come gli occhi di quella ragazza. Immagini che entrambi hanno una storia che vorresti conoscere e che forse, potresti anche farne parte. E non sarebbe poi così male…
Ecco perché la buena vida, per me, per noi, per chi l’ha provata, non è solo una barca, ma è uno stile di vita. È un’amica dalla quale vai quando hai bisogno di sentire su di te l’effetto che fa il vento che ti arriva addosso, che sia irruento come uno schiaffo o leggero come una brezza indefinita. E’ un’amica che non mente mai. E’ un’amica che sa come coccolarti e cullarti tra le sue curve, o le sue onde, come preferite…

Le prossime settimane causa fuorisalone e trasferta a Monaco (ospitato nella dimora dello Ziopera) non scriverò altri post miei affezionatissimi dolcissimi fedelissimi amatissimi amicissimi. Arrivato al quattordicesimo intervento, una pausa me la posso prendere, considerato poi che non avrei scommesso un bottone che ne avrei scritti così tanti. O forse me la voglio prendere per segnare uno stacco, perché la primavera che forse sta arrivando chissà che davvero non si stia portando via questo inverno terribile e sicuramente troppo lungo.
Spero così di poter chiudere una prima stagione del lago, e con questa, allo stesso modo, una piccola stagione della mia vita, che poi si è capito dai, sono un po’ la stessa cosa… In attesa di tornare, con storie magari più belle…con stagioni più soleggiate, forse più ventilate. Più calde e più appassionate, lontane ed erranti, malinconiche e nostalgiche. Sapendo che il lago, di stagioni, ne avrà sempre di nuove… da vivere sulla prua di una buena vida, da innamorarsene, da inebriarsene, da ricordare o solo da lasciar passare e forse, qualcuna, anche da raccontare.
A presto miei cari…


Vi lascio con questa, mi piace ascoltarla quando sento che qualcosa stia cambiando in meglio