sabato 6 dicembre 2014

Questione di Tattoo


"Le cose che possiedi, alla fine ti possiedono" (Tyler Durden, Fight Club)

CP 19 19 è il nome della prima “pulsar” mai scoperta nella storia. 
Era il 1967, e due astronomi stavano cercando di rilevare la scintillazione delle quasar con un radiotelescopio, quando, inaspettatamente, rilevarono uno strano impulso di radiazioni emesso regolarmente ogni pochissimi secondi. Erano le radiazioni emesse da una pulsar, vale a dire una stella di neutroni, cioè dei corpi che si formano dopo il collasso di una Supernova II. Raggiungono la stessa massa del sole pur essendo molto piccole, nell’ordine di una decina di chilometri. Il disegno delle emissioni emessi dalla CP 19 19 è questo:


Quattordici anni dopo, Peter Saville, il grafico della storica casa discografica di Manchester Factory Records, utilizzò lo stesso disegno come copertina di uno degli album destinato a diventare di importanza cruciale per la storia della musica.
L’album in questione è Unknown Pleasures, il primo album dei Joy Division, band meteora della storia del rock. Meteora, sempre per stare in tema astronomico, perché pubblicarono solo due album prima di cambiare il nome in “New Order”. Successe infatti che poco dopo l’uscita dell’album d’esordio il leader del gruppo, Ian Curtis, si uccise in casa impiccandosi ad una rastrelliera. Le cronache narrano che prima di morire ascoltò per intero “the Idiot” di Iggy Pop. Aveva 23 anni. Sulla lapide il suo verso più famoso: Love will tear us apart (l’amore ci farà a pezzi). 

Mi sono chiesto un infinità di volte perché Peter Saville scelse quell'immagine per la copertina del disco. Forse solo ed esclusivamente per le linee regolari del disegno e quindi soltanto per una questione estetica, come può essere la scelta di un font o di un particolare colore.  O forse scelse quell'immagine anche per il concetto a cui rimandava, per quello che simbolicamente rappresentava. L'impulso dell'energia, la generazione stessa della vita, della forza, la costruzione del suono, il germogliare della scintilla, la nascita dell’ispirazione.
Ho sempre trovato l'immagine affascinantissima, tanto che con il tempo, il simbolo, si é automaticamente trasformato nella rappresentazione grafica che darei alla parola musica, perché se mi chiedessero di disegnarla, la musica, non farei una nota, non disegnerei un cantante, uno strumento, ma disegnerei quelle linee parallele, quelle generatrici di energia infinita, quel piccolo germe di infinito che contengono, la potenza della musica, una delle armi più potenti che l'universo abbia mai creato, all'apparenza piccola, ma più densa della stessa massa del sole. Esattamente come una pulsar.
Certi simboli si insinuano nel proprio immaginario senza un evidente motivo apparente. Questione di linee e colori. Esattamente come certi profumi o alcuni suoni, imprimono come un timbro le loro fatture nel nostro cervello, e questo le trasmette sotto forma di emozioni alla nostra anima. E’ così che il loro ricordo assume un significato particolare, è così che si trasforma in “istintivo". Questione di sensi. Questione di tatto.

A gennaio compirò 25 anni, entrando di fatto nella fase matura dell’essere giovani. 
Mano a mano che si cresce si accumula sempre più roba intorno. Oggetti vari, di variabile inutilità, che per qualche sottile motivo personale nel corso degli anni sono stati importanti o significativi. I più disparati: sassi, infradito, fotografie, dischi, costumi, cuffie, conchiglie, sciarpe, sottobicchieri, scontrini, biglietti di aereo, ombrelli rubati, bottiglie di birra vuote, libri tascabili, lettere mai spedite, cartoline da posti esotici, cartoline spedite a se stessi, sabbie colorate, coltellini affilati, culi di matite, mappamondi di legno, tazze sbeccate, jeans strappati, magliette bucate, cassetti pieni di segreti.  E uno quando cresce ha la necessità di tenerseli a fianco questi simboli, come piccole porte su passate avventure. 
Lo spettro di come siamo stati accompagna ogni persona come fosse un'ombra animata di vita propria. È un riflesso nel quale continuiamo a specchiarci e a trovare differenze. Perché mentre andiamo avanti é come se tante piccole parti di noi muoiano e rinascano nuove di continuo, ogni giorno, ogni mattina. Tanto che dopo qualche tempo siamo talmente diversi da come eravamo anche solo un anno prima che quel riflesso ci sembra di una persona differente.
Siamo la somma di tutto ciò che accumuliamo nella nostra vita, delle paure che affrontiamo, dei mostri che uccidiamo e dei quali ogni tanto ci illudiamo di rubare la forza dopo averli sconfitti. 
E Facciamo di tutto per portare con noi la memoria di ciò che abbiamo vissuto. Mille tentativi. Come fare uno sforzo enorme per fissare su un foglio i momenti più belli dell’anno per paura di dimenticarseli. O appunto annegare in un mare di oggetti inutili senza mai buttare via niente. Chi è mai stato al Vittoriale sa di cosa parlo, nulla è più necessario del superfluo, diceva D’annunzio. 
Solo che delle volte certe cose sono talmente eteree da non riuscire ad essere toccate con mano, ma non per questo sono meno importanti di quelle su sui si accumula la polvere degli inverni che passano.
La copertina di Unknown Pleasures è uno di queste.
Fragile come un segreto, travolgente come un’esplosione, affascinante per la sua apparente impossibilità di essere rappresentata e toccata.

Ed è solo a questo punto che ci si fa un tatuaggio.