mercoledì 30 aprile 2014

L'amore ai tempi dei voli low cost


Aprile sta finendo e la primavera rischia di entrare nel pieno, risvegliando vecchie nostalgie e sommerse aspirazioni. Che ci crediate o no questo blog ha dei fan, pochi, ma ci sono, che delle volte arrivano a chiedermi cosa penso di un determinato argomento, incitandomi a scrivere un post a riguardo, nemmeno fossi il Dalai Lama o Fabio Volo. Di recente mi è stato chiesto più volte di fare un post sull’amore, cosa che ho cercato con tutte le forze di evitare più o meno da sempre, destreggiandomi come Tomba tra le porte di uno slaloom fra un’occasione che capitava e l’altra, scrivendone al massimo sempre senza nominarlo direttamente, ma cercando di dipingerlo sullo sfondo di alcune storie o suggestioni di questo blog.
Anche perché parlare d’amore vuol dire tutto e niente, c’è troppo da dire, mille sfaccettature e in fin dei conti non so cosa potrei aggiungere io a ciò che è stato già scritto, cantato e recitato. Cercherò almeno di non sprofondare nella banalità, anche se non cadere è impossibile.

Leggevo, poco tempo fa, di una coppia sposata da una settantina d’anni morire lo stesso identico giorno. Avevano girato tutti gli Stati Uniti insieme, nella loro vita, tra le tante cose fatte, come crescere sei figli e sposarsi in gran segreto non ancora maggiorenni. Una vita intera condivisa, e giuro che darei un rene per sapere quanto gli sia stato difficile o quanto invece  un semplice assecondamento di una pulsione e di una passione travolgente. La leggenda, e il racconto, patteggerebbe per la seconda ipotesi. Solo che la vita in generale è difficile che vada proprio così.
Si passa un tempo incalcolabile a cercare di costruirsi una propria identità e un futuro nel quale vivere sereni, il più delle volte da soli, o meglio, esclusivamente per se stessi. Si cerca la propria strada, sperando poi di attaccarci un pezzo alla fine, un/a partner ricercandolo nell’universo mondo con tutte le caratteristiche che cerchiamo. Bionde, more rosse, alte, basse, con occhi blu verdi o marroni. Mi verrebbe da dire cerchi in lega e sedili in pelle. Delle volte l’impressione che si stia scegliendo una macchina e non una compagna un po’ mi viene.
Perché forse il problema sta proprio nello scegliere, perché non si deve proprio scegliere niente. Credo che in amore si scelga molto meno di quello che uno si immagini. Perché le cose, quando vanno bene ed hanno un futuro vanno da sole e quello che possiamo fare noi non è scegliere, è fare in modo di non mettere troppo i bastoni tra le ruote. 
Nasce tutto quando da solo.
Succede tra due persone, scelte a caso nel mondo, che nasca una strana alchimia, una strana attrazione, inizialmente forse solo da una parte. Una curiosità nascosta, un fascino celato e sussurrato nelle orecchie. Un profumo particolare. Quando si vedono hanno troppe cose da dirsi, si accavallano le une sulle altre, mille interessi in comune, la voglia di scoprire insieme un pezzo di mondo. Nasce da un sorriso scambiato per sbaglio, uno sguardo incrociato, lasciato solo, senza bisogno di altre parole. Uno sguardo fine a sè stesso, come un carezza invisibile. L’imbarazzo che nasce da quei due secondi di complicità, ad aspettare un soffio di vento per trasformarsi in magia, due mani che si sfiorano, e quel tempo infinito di due labbra che si stanno per sfiorare, mille dubbi che passano, si annullano, ritornano. Gli occhi che si chiudono, tutto il mondo in un secondo. La foga che non si arresta, le promesse i dubbi, la paura. La pancia che si scalda e quella sensazione straordinaria di non voler essere da nessun’altra parte nel mondo, almeno per quei pochi secondi.
Quando si pensa ad una ragazza e non si immagina di andare a letto con lei, ma che vorresti  più di ogni altra cosa prepararle da mangiare e vedere la sua faccia dopo che assaggia quello che hai cucinato capisci di essere spacciato. Quando succede quello sono cazzi amari. L’attrazione fisica è passata in secondo piano, e si è trasformato tutto in qualcosa di un pochino più grande, e di quella roba lì non ci si libera così facilmente. Sarà anche perché ne capita si e no una all’anno di quelle che davvero ti lacerano qualcosa nel petto. Cucinare per una ragazza è una delle cose più sensuali che ci sia.
Non c’è bisogno di andare a cercarlo l’amore, si presenta alla porta senza telefonare, e quando è davvero bello non aspetta nemmeno che si vada ad aprire, bussa insistentemente gridando e svegliando i vicini.
Entra senza chiedere permesso e non sempre è educato, quasi mai si accomoda sulla poltrona. Mette i piedi sul tavolino, sporca tutto quanto, disfa il letto e lo lascia sfatto per giorni e giorni. Lascia i piatti nel lavandino, che tanto si lavano sempre il giorno dopo.
Certo si può decidere di non aprire la porta e tenerla lo stesso chiusa, la casa ordinata, il letto a posto, senza correre il rischio che arrivi il caos nella propria vita, continuando nei precisi binari che portano al successo, anche se, il rischio, purtroppo c’è anche lì, che quei binari non finiscano mai e si passi la vita a percorrerli guardano il mondo solo dal finestrino.
Senza magari accorgersi che amore è stata proprio quella complicità vissuta per caso con qualcuno, amandosi  segretamente ed inconsapevolmente un sacco di volte e con molta più intensità di altre coppie ufficiali, senza saperlo e senza che nessuno mai glielo dirà, continuando a vivere le proprie vite cavandosela anche piuttosto bene, incrociandosi per caso delle rare volte per la strada lamentandosi di non aver ancora trovato il vero amore. Pensando ancora: prendo una nave e parto, e prima o poi sceglierò la persona giusta.
Perché infine, dopotutto, valutate tutte le ipotesi, vissute tutte le vite che si vuole e trovate tutte le carriere che si cercano, addormentati soli per un numero incalcolabile di notti, anche se non tutte, viaggiato ovunque si voglia a cercare qualcosa che non si cerca, si capisce che nonostante tutto, l’amore, è semplicemente la cosa più bella che possa capitare.


lunedì 14 aprile 2014

Kurt, il circo Zen, ed altri eroi...






C'è gente che fa del male ad altra gente senza motivo e io vorrei massacrarla.
Ma l'unica cosa che riesco a fare è urlare in un microfono.

Kurt Cobain
 


La cosa migliore che mi sia successa nell’ultima settimana è stata indubbiamente la morte della batteria del mio iphone con conseguente inaccensione (non so se esiste la parola) di esso negli ultimi tre giorni. Sono tornato al mio vecchio nokia versione preistoria e devo dire che la cosa mi ha fatto riscoprire sensazioni meravigliose che avevo dimenticato: parlare con la gente senza sentire che arriva una notifica di whatsapp o facebook, leggere l’ora dal polso e non sullo schermo, giocare a snake. La sola cosa che veramente mi manca è l’uso dell’iphone come lettore mp3 dato che avere musica da ascoltare in treno o per strada per me è più importante che indossare le scarpe sull’asfalto.
Ho iniziato a scoprire la musica e ad ascoltare quella che volevo sentire al primo anno di liceo. Fino ad allora il mio repertorio verteva fondamentalmente in un ascolto delle hit che passavano in radio, al festivalbar, e ad una conoscenza assolutamente invidiabile dell’intera discografia di Max Pezzali. La cosa ovviamente non mi rendeva fiero allora, figuratevi adesso.
Minute erano le sollecitazioni che arrivavano da mia madre che metteva a palla Phil Collins e Springsteen, ma ancora non li apprezzavo a dovere, o dai fratelli più grandi dei miei amici che magari ascoltavano band come i Blink 182 o i Green Day aprendomi di fatto le porte alla musica che da quel primo anno di liceo in poi avrei ascoltato per ogni giorno della mia vita.
Con il tempo i miei gusti si sono affinati e sono cambiati e molte band ormai le ascolto davvero poco, ma non per questo non rimangono bene impresse nel mio essere.
C’è una musica giusta per ogni età, questo blog direbbe c’è una musica adeguata ad ogni stagione. A quindici anni se sei un po’ incazzato perché le contraddizioni del mondo iniziano a diventare stridenti ascolti il punk, i ramones, i sex pistols, ti riempi la bocca di slogan tratti dai loro testi e affermi senza indugiare che cambierai il mondo, quel posto così schifoso e marcio nel quale vivi. Dopo un po’ di tempo la rabbia lascia il posto alla ribellione pacifica, alla rivoluzione interire, al viaggio nelle profondità dell’essere, convinti che prima si debba cambiare il proprio io che il mondo: ascolti i doors e i pink floyd, e nel mentre si insinua in testa il pensiero che il mondo non lo cambierai in quel modo e forse, né lo cambierai proprio né probabilmente si ricorderà di te.Una fregatura.
Tutti questi gruppi come molti altri, hanno rappresentato non solo una generazione o i giovani, ma le diverse sfaccettature del loro percorso di crescita, della personalità di milioni di ragazzi che andava a formarsi sui loro accordi e sui loro testi, il contesto culturale e sociale nel quali erano immersi.
Le prime parole di "viva", l'ultimo singolo degli Zen Circus, mi hanno conquistato dalla prima volta che ho ascoltato la canzone, a dicembre, singolo estratto in previsione del nuovo album, perché sembrava scritta per parlare di me. Io, come tanti, ventiquattrenne studente inquieto e smetto di provare a definirmi perché l’andare oltre potrebbe essere molto pericoloso.
Gli Zen Circus sanno cantare perfettamente la nostra epoca, che è quella dei miei vent’anni, così come in generale fa la musica indie, quasi che viene da chiedersi se loro (così come i cani e TARM ecc) abbiano davvero preso il posto di quelle band del passato che prima elencavo. Ma forse non è una domanda lecita perché, come dicevo prima, ad ogni stagione e ad ogni contesto sociale c’è una musica di risposta, ad ogni stagione del mondo e ad ogni stagione della persona. Motivo per cui si sente il bisogno di metter nelle canzoni espressioni come “sto twittando” o “intasandomi gmail”. E motivo per cui ho comprato “canzoni contro la natura” e sono stato a due esibizioni del magico circo Zen uno spettacolo diviso tra eredità di cantautorato nostrano e ammiccamento verso gli artisti d'oltreoceano infarciti di influenze inglesi come  i clash, percependo in entrambe le occasioni di essere al fianco di coetanei come me, dividendo gioie, sogni, inquietudine e paure, anche solo per il tempo di un assolo ma con la violenza di una pogata.
Quello che é certo é che abbiamo un estremo bisogno di qualcuno che canti la nostra epoca e anche se gli Zen non hanno la maledizione del 27 e non entreranno nella rock'n'roll hall of fame quando gli ascolterò tra vent'anni mi porteranno istantaneamente a questi giorni milanesi, la mia prima casa, la mia prima macchinetta del caffè nespresso, 400 euro al mese e il mio letto a soppalco, così come i Ramones mi ricordano i primi giri in motorino e Bob Marley mi porta su una opel zafira sporca con 7000 km di strada davanti.
Ogni generazione ha i suoi di miti, diversi, come diverse sono le angosce e le aspirazioni che le connotano. Siamo ancora inquieti, ma non come negli anni '90. Siamo inquieti perché vogliamo fare troppo, non perché non sappiamo dove andare, o almeno questa é la mia esperienza.


L'8 aprile '94 Kurt Cobain, frontman dei Nirvana nonché idolo dei ragazzi di allora veniva trovato morto nella sua casa sul lago Washington, referto dell’autopsia “morto a causa di un colpo di fucile atuinflitto alla testa”. In quello stesso istante una generazione diventava adulta, in maniera repentina e senza nemmeno il tempo di abituarsi, un po’ come succede nella reltà in effetti. Arriva la maurità un giorno, un giorno in cui si decide di imboccare una delle mille porte aperte davanti, chiudere le altre e non voltarsi più indietro, oppure come in questo caso capita che semplicemente capisci che non è più il tempo di scherzare e bisogna guardare avanti. Kurt rappresentava quella generazione spaventata ma dura allo stesso tempo, un po’ come era lui. Quella stessa generazione che ha sentito il colpo di fucile sul proprio corpo, facendo, per molti di loro, calare il sipario sulla loro giovinezza.
L'8 aprile 1994 avevo 4 anni e nulla sapevo di chi fossero kurt kobain, Novaselic e Dave Ghrol. 20 anni dopo capisco l'importanza che la musica ha sulle generazioni di giovani che incocia e quindi l’importanza che i Nirvana hanno avuto nel mondo della musica, nel rock, nella società che stava andando incontro ad un’evoluzione appunto repentina ed irreversibile, provando ad immaginare cosa potesse significare per un ventenne di allora la morte di Kurt. Perché quello che rappresentava era quell’idea che si potesse essere inquieti ma comuqnue delle rockstar, che si potesse avere problemi pur stando sotto i riflettori e che anzi, il successo non era poi così bello, quella identità che disperatamente cercava la generazione X di cui kurt era l’elemento forse più famoso e rappresentativo. Ora le cose sono un po’ diverse, ma alcuni tratti rimangono invariati: la confusione adolescenziale, il caos esistenziale, la ricerca di un’identità tra le mille a disposizione, l'ansia di diventare adulti ormai non più sfogata in un riff di chitarra ma piuttosto in un insulto su Facebook o Twitter, l'inquetudine che attanaglia, ma anche la consapevolezza dell'importanza degli errori che tutto questo genera, degli errori comuni, come quello che portarono alla creazione di cose incredibili come il riff di smels like teen spirit, rassicurandomi sul fatto che talvolta, sono proprio loro le cose buone che facciamo. Quegli errori, che a volte conducono alla morte come é successi a Kurt, ma che altre volte, ti salvano la vita.