http://www.youtube.com/watch?v=RMB3M43AEpc
Oggi voglio
raccontarvi una storia. Una storia vera.
E’ la storia di
una montagna e di due uomini che ne hanno scalato la vetta. Una montagna che
domina la Patagonia, sola, solenne, sbruffona. Lì nella terra del fuoco, ai
confini del mondo che consociamo. Una terra troppo lontana anche per essere
immaginata. Luoghi sentiti nominare, narrati, caricati di immagini sublimi.
E’ li che svetta
la torre Egger, a fianco del Cerro Torre, cime tante volte sfiorate e solo,
forse, poche volte raggiunte nella notte dei tempi dell’alpinismo mondiale.
Prende il nome da Toni Egger, che morì nel 1959, travolto da una valanga dopo
averne raggiunto la cima. O almeno così afferma Maestri, il suo compagno di
allora, che non potè mai dimostrare la conquista perché Egger, cadendo, portò
con sé la macchina fotografica che documentò l’impresa. La torre da allora
diventò una delle tante leggende che gli alpinisti del mondo si raccontano
nelle notti stellate d’estate. Vecchio pallino di tanti. Sogno ricorrente di
tutti quelli che praticano questo sport.
Fino a quando
tre anni fa, Matteo, un alpinista di 26 anni, non cercò, insieme ad un compagno,
di scalare la famigerata parete ovest della torre. Un muro verticale, liscio,
di granito levigato nei secoli dal vento oceanico che spira cattivo, senza
sosta. Iniziarono a salire sfidando le estreme condizioni atmosferiche di quei
luoghi. Il maltempo non cessò, mai, finchè non riempì interamente la parete di
ghiaccio. I due si dovettero fermare, dovettero tornare indietro. Sarà per l’anno
prossimo. La montagna rimase così inviolata, ancora una volta, fiera e
orgogliosa.
L’anno dopo non
andò meglio. Matteo e il suo compagno di sfide arrivarono un po’ più vicino
ancora, ma anche questa volta qualcosa andò storto. Qualcosa si ruppè e Matteo
cadde per tre metri nel vuoto perdendo la telecamera e facendo sbattere la
bocca del compagno su un blocco di ghiaccio. Rimasero sospesi nel vuoto, appesi
ad una corda attaccata per miracolo ad un friend
di ferro incastrato nella roccia, decisamente troppo piccolo per reggere
entrambi. Fu un miracolo appunto, quasi qualcuno tenesse quella corda
dall’alto…..
Chi ha avuto la
fortuna di conoscere un alpinista sa che la determinazione e la tenacia sono le
due più grandi qualità che possiede. Non si danno per vinti, mai. Perché per
arrivare in cima alle loro vette sanno di dover fare fatica, e che essa fa
parte del gioco, anzi, è pure il bello. Sanno che non è mai un’impresa facile.
Sognano la meta, la visualizzano, continuano a pensarla, senza sosta.
E così ha
fatto Matteo, il ragno di Malnate. Pochi giorni fa, il 3 marzo, Matteo è
arrivato in cima alla vetta, con un altro ragazzo giovanissimo. I due sono i
primi al mondo che hanno violato la parete ovest della Torre Egger, la vetta a
guardia della Patagonia.
Non so
sinceramente cosa si possa provare nel momento in cui, esausto e sfinito, metti
piede sulla cima di una montagna come quella. Posso solo provare ad
immaginarlo. Penso che per un attimo passi tutta la fatica. Credo che arrivi
una voglia incontenibile di urlare al mondo che ce l’hai fatta. Suppongo che possa
essere il momento più emozionante della vita di un uomo. Immagino, ma non lo
so. Quello che invece so, è a chi Matteo ha dedicato la sua vittoria. Non ho
dubbi a chi abbia pensato durante tutto il tempo della scalata e poi quando ha
guardato dall’alto l’orizzonte, e forse anche più su. Ha pensato al suo
maestro, ha pensato a suo papà. Fabio.
Ho letto questa
storia per caso, una mattina come tante, sul giornale, un trafiletto di quelli
che si nascondono e a volte non si fanno trovare. Non so perché abbia attirato
la mia attenzione, o forse si, ma più andavo avanti più prendevo consapevolezza
di chi stesse parlando l’articolo. Quando sono arrivato in fondo con gli occhi
lucidi, ho chiuso lentamente il giornale, ho guardato in alto e dentro di me
avevo come un senso di liberazione, quasi quella vetta l’avessi scalata io. E
mentre lo facevo, mi sono accorto che stavo sorridendo.
Bravo davvero Matteo, sappiamo tutti quanto sarebbe stato orgoglioso di te.
Per chi non ha conosciuto Fabio:
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