La mia
seconda liceo terminò intorno al 10 giugno dell’estate 2006, la più bella in
assoluto che ricordo.
Fu l’estate
dei bagni al lago tutti i giorni di quei mesi, delle uscite tutte le sere,
quella dei primi coprifuochi non rispettati, della prima compagnia, della prima
vacanza.
Fu l'estate
dei mondiali in Germania.
Dopo due
settimane di pronostici e commenti sulle convocazioni iniziarono i mondiali. A
guidare la compagine azzurra c’era Marcello Lippi, toscano saccente di non
molte parole, esperto condottiero della Juventus di fine anni ’90. Non
partivamo favoriti, come sempre del resto. L’esordio azzurro Italia-Ghana si giocò
una sera ventilata di metà giugno. Alle nove tribuna organizzata a casa di un
amico, solo maschi, com'era buona norma in questi casi. La partenza qualche
decina di minuti prima, giusto per non arrivare a ridosso. Motorini senza
strozzi e casco con la visiera rigorosamente alzata per respirare a pieni
polmoni il profumo della libertà che stavamo pian piano conquistando. Giorno
dopo giorno, partita dopo partita. Dopo un chilometro o poco più la macchina
davanti a me mi taglia la strada, volo per terra non mollando il motorino che
si infrange sul paraurti della macchina. Non mi feci nulla, ripartii subito
pensando che a meno che fossi in punto di morte dovevo andare a vedere Italia-Ghana.
Circa quarantacinque minuti dopo Pirlo aprì le marcature. Il sangue sulle mie ginocchia
si era già coagulato. Al gol di Iaquinta avevo già una meravigliosa cicatrice,
la firma del nostro esordio sulla mia pelle, il lago, i giorni successivi,
avrebbe lentamente lenito quella ferita simbolo della gloria che stava per
cadere sulle nostre teste di sedicenni.
Giusto il
tempo di qualche bagno, dopo i Griffin, com’era tradizione, e fu la volta di
Italia-USA. Questa volta mi feci portare in macchina, finì uno ad uno e subito
pensai che nell'incontro decisivo, tre giorno dopo, se fosse servito a vincere,
sarei volentieri caduto un'altra volta. Italia- Repubblica Ceca la vidi a casa
con mio nonno. Vincemmo agevolmente e staccammo il biglietto per la fase
finale. Con mio nonni vidi anche gli ottavi e i quarti con Australia e
l'Ucraina di Shewcenko, vecchio re Leone alle prese con gli ultimi spasmi di
vita, vita calcistica, è ovvio.
Nel mentre l’estate
entrava nel vivo, aumentavano le serate e la nostra eccitazioni per una
situazione a cui nessuno aveva immaginato. I pronostici cambiavano con la
velocità di un temporale. In un attimo passavamo dall’ottimismo sfrenato al
catastrofismo più totale. Dovevamo distrarci.
Organizzammo
le vacanze, il nostro primo viaggio senza genitori. Destinazione Senigallia
dove uno dei miei amici possiede (tutt’ora) un bilocale a due passi dal mare.
La situazione ideale per dei sedicenni che non vedevano l’ora di tuffarsi in un
paio di settimane lontano dai genitori rompicoglioni (non loro in particolare,
ma i genitori come categoria sono rompicoglioni per definizione). Ma prima di
partite c'era una semifinale da giocare, e per noi da vedere. Due giorni per
decretare il posto migliore dove vederla. Scegliemmo il Flamingo, in cui
andammo rigorosamente in motorino, a quei tempi lo usavamo anche per andare al
cesso.
Bar gremito,
tutto pieno, fortuna che andammo presto. Partita tesa, tirata. Ci si disperava
di continuo per ogni occasione mancata, anche per i replay, si esultava anche
per ogni rimessa laterale guadagnata. Un’atmosfera surreale. Quella semifinale
fu senza dubbio la partita più bella, è scolpita indelebile nei nostri ricordi
e rimane, ancora oggi, il simbolo di quel mondiale.
Arrivammo ai
supplementari visivamente provati e proprio quando si avvicinò lo spettro dei
calci di rigori Pirlo pesca Grosso in area, sulla destra, che con un magistrale
colpo a giro al volo insacca facendo esplodere un paese intero che stava
incollato agli schermi. Un tipo davanti a noi ricordo che saltando rovescio un
litro di birra addosso a Ziopera. Iniziò ad esultare e bestemmiare nello stesso
tempo, uno spettacolo grandioso, noi stessi non sapevamo se guardare l’Italia
esultare o Ziopera fradicio.
Passarono
due minuti, Cannavaro, ancora Cannavaro contropiede con Totti, Gilardino, Del
Piero goal, ci fiondiammo alla porta pronti ad andare a finire la batteria dei
nostri motorini con il clacson. Così successe in effetti. Il clacson del mio motorino
non so riprese mai più!
Le vie di Angera
erano gremite come mai mi capitò di vedere e si viaggiava a passo d'uomo.
Eravamo ancora
in finale dopo dodici anni. La nostra prima vera finale. Di corsa a casa a
chiudere la valigia perché da lì a pochi giorni saremmo dovuti partire per
Senigallia.
Infradito
costumi e la maglietta di toni, azzurra, la numero 9.
Il 9 luglio
2006 è un giorno avvolto nella nebbia del ricordo. Fino a metà giornata
cercammo di fare come se niente fosse: bagni al mare, partite di beach volley,
silos di stronzate.
Da metà
pomeriggio in poi la tensione diventò palpabile a vista d’occhio.
Come finì è
storia nota. Rigore di Zidane, lo sconforto, il pareggio di Materazzi, siamo
ancora vivi, la sofferenza, la pizza che ci va di traverso, i tempi
supplementari, un giocatore a terra, Buffon che corre, la famosa testata, uno
dei migliori giocatori di sempre che finisce così male la sua carriera, sfila
negli spogliatoi sfiorando la coppa del mondo, antipasto di ciò che sarebbe
successo da lì ad un quarto d’ora. La Francia perse i mondiali in quel momento.
L'Italia trattenne il respiro per un tempo interminabile sull'ultimo rigore, prima di urlare senza ritegno, da nord a sud, tutti uniti, per una volta, nel nome di una passione comune. Perchè noi italiani siamo così, giochiamo partite di calcio come fossero guerre e combattiamo guerre come fossero partite di calcio.
Esplodemmo
tutti, quella vittoria era arrivata, nel momento migliore che ci potesse
essere. Festeggiammo per ore, in giro per il lungomare di Senigallia in festa, quattro
sedicenni lontani da casa nella prima e forse ineguagliabile stagione azzurra.
Per quelli
della mia generazione i mondiali del 2006 furono più che mondiali, furono un
simbolo d’identità che mai ci scolleremo, nonchè il culmine di un’estate
meravigliosa vissuta al massimo.
Ora, dopo 8
anni, qualche stagione azzurra trascorsa, dopo un numero illimitato di
coprifuochi non rispettati tanto da svanire del tutto, dopo decine di vacanze
fatte e centinai di birre versate in gola e addosso a Ziopera, dopo aver visto quasi tutti i nostri eroi di
quei giorni ritirarsi e dopo aver finito del tutto il liceo, abbiamo una grande,
incredibile voglia di vedere ancora il mondo colorato tutto di azzurro.