domenica 25 maggio 2014

Il carrello dello studente in crisi



Continua il mio viaggio attraverso alcuni elementi che inducano a capire le persone senza prendersi la briga di conoscerle. Tempo fa, in uno dei primi interventi di questo blog, il vostro affezionatissimo sosteneva che per conoscere una persona si debba guardare la sua camera da letto.
Pur conservando questa convinzione, forte dell’esperienza che continua a non smentirmi, ho imparato a conoscere le persone dal loro carrello della spesa.

I supermercati che gravitano intorno alla fermata Piola a Milano sono assediati da studenti come me che improvvisano, almeno una volta a settimana, una sorta di spesa. Ho provato a riassumere alcune categorie di spesaioli che settimanalmente incontro:

Il bamboccio
Il bamboccio non sa cucinare, questo bisogna subito sottolinearlo. Il reparto surgelato è il suo preferito, ci compra di tutto. La pizza, le verdure, il minestrone (che però non mangia mai, ma aveva una confezione così colorata che non ce l’ha fa a lasciarla lì), i funghi, il merluzzo, la cotoletta. Il kebab. Ecco, qui c’è bisogno di una precisazione. Il kebab surgelato costa dai 2,3 ai 3 euro a pacchetto. Milano ha una percentuale di kebabbari pari a quella dei semafori. Ormai con cinque euro ti danno kebab, patatine fritte, ketchup, una pacca sulla spalla e il numero di telefono della sorella (del kebabbaro), che si d’accordo, non è che sia il numero della Hunziker, però va bè. Ma perché cazzo uno deve farsi il kebab a casa?
Ci sono poi delle cose che, se fossi ministro, renderei immediatamente illegali: i venditori di fastweb che ti telefonano prima della undici di mattina, i filari di ombrelloni e lettini sulle spiagge e il purè liofilizzato. Quelli che si comprano il purè liofilizzato meriterebbero di digiunare per una settimana. Per fare il purè bisogna far bollire una patata, schiacciarla e aggiungerci burro, latte e mescolare. Quanto tempo? Esattamente fino a quando non ci si rompa i coglioni, quello è il tempo giusto. 
Piatto forte: pennette al tonno.

La salutista
Categoria prettamente femminile. La composizione del carrello è la seguente: Insalate di ogni genere, jocca, verdure, yogurt vitasnella, cracker dietetici, e attenzione, gallette di riso!
Il meglio di sé la salutista lo sfodera per scegliere l’acqua, venticinque minuti di orologio ad esaminare tutte le etichette del supermercato con tanto di calcolatrice alla mano per calcolare quale tra tutte le ventidue marche presenti  abbia il miglior rapporto di sali minerali, per poi, infine, comprare sempre l’acqua panna che, per inciso, è una merda.
Ovviamente compra tutto bio, e non gliene frega nulla di pagare i pomodori cinque euro al chilo, vuoi mettere?! È bio. Compra quindici confezioni di philapelphia così se lo porta in università con tipo una zucchina. Non cena, che ingrassa. La pasta non la può mangiare, carboidrati e ingrassa. La carne niente perché è vegetariana. Poi il sabato sera beve gin lemon come fosse benzina e si lamenta che forse si stanno un po’ allargando i fianchi. Vedi te… Mette il dolcificante nel caffè e poi non sa dire di no alla brioches al cioccolato e panna grossa come una barca.
Piatto forte: insalata di farro

Il finto chef
Il finto chef entra al supermercato con passo spedito e occhiale da sole ancora in testa. Prende senza guardare il cestino e poi corre che non ha tempo da perdere. Sceglie un ingrediente nuovo a settimana e poi prova a cucinarlo, parrebbe, in maniera originale da vecchio lupo di mare, ma in realtà segue passo passo la ricetta di giallo zafferano unico faro in una notte diversamente molto buia. Ecco che in un carrello fatto con cura spiccano ingredienti assolutamente insoliti come i topinambur o il rognone di vitello.
Predilige il contatto diretto con i commessi al supermercato, anche se è convinto della loro incompetenza, e non è raro sentire domande del tipo: “dove posso trovare le violette bianche da usare come decorazione per il piatto?” scandalizzandosi poi se il commesso non sa rispondere.
Compra cipolle rigorosamente di Tropea e tartufi di Alba, si indigna davanti ai prodotti delle multinazionali ed indugia davanti ai prodotti equosolidali convinto che fare la spesa a km 0 sia andare a farla nel supermercato sotto casa. “sono venuto a piedi, abito qui dietro, più km 0 di così”.
Piatto forte: qualcosa di sua invenzione (che di solito fa cagare)


Il festaiolo
Allora il festaiolo è un po’ un jolly, nel senso che tutti almeno una volta abbiamo fatto i festaioli al supermercato. Di solito è un piccolo gruppo di asini, due, tre, forse quattro. Il primo ha in mano una lista attentamente scritta a casa ed è deciso a comprare tutto quello scritto sopra, uno che aiuta (forse) e due che fanno i pirla. Lo scopo è comprare tutto ciò che occorre per una piccola festa improvvisata in qualche appartamento: patatine, noccioline, forse se va bene, e se c’è un po’ di grana (non il formaggio in questo caso), del salmone e del Philadelphia per fare due tartine. Alcol, camionate d’alcol. Quello con la lista, spinge anche il carrello, confronta i prezzi e pensa minuziosamente a qualsiasi articolo indugiando diversi quarti d’ora della sua vita cercando di decidere se sia meglio la wartseiner o la nastro azzurro.... O magari calcolando i prezzi delle patatine in base al peso sentendosi poi un vero business man per aver risparmiato 8 centesimi sulle patatine alla paprika. Quello che aiuta, appena dentro il supermercato, sceglie dalla lista la cosa più inutile e dice: “per risparmiare tempo io intanto vado a cercare… boh… non lo so… i tovaglioli gialli.” Sta via dodici ore lasciando, di fatto, quello con la lista da solo. Anzi, in compagnia dei due pirla, che nel mentre riempiono il carrello di puttanate, così, per pura gogliardia. Finiscono così nel carrello pannolini, assorbenti, bottiglioni di vino rosso, e non è imprecisione questa, i bottiglioni con l’etichetta con scritto proprio: "vino rosso". Arrivano alla cassa con un pacchetto di patatine alla paprika con tanto di sorrisone dell’imprenditore sopra citato che, appena può, fa presente all’aiuto e ai pirla che grazie a lui hanno risparmiato un casino, due pacchi da 15 kg di noccioline che, si spera qualcuno porti uno scimpanzé perché altrimenti la vedo dura, ed ettolitri di alcol. E anche lì, una qualsiasi forma di strategia è andata a puttane ancora prima di essere pensata. Gin, rhum, vodka (una liscia e una a qualche gusto di merda, più fa schifo più ne vanno fieri) senza niente con cui comporre qualcosa che sembri un cocktail, vino e birra. Ovviamente hanno preso la nastro azzurro, come volevasi dimostrare.
Arriva il momento per loro di pagare e decidono che vogliono dividere per quattro lì, ora e in quel momento, il conto di 69,42 euro. “Eh no lo facciamo ora che poi a casa ci dimentichiamo”. E non è che arrotondano, no, se potessero spezzerebbero a metà le monetine da un centesimo porca troia. E tu nel mentre in coda, ad aspettare loro, quei due o tre mesi, con le stagioni che fanno il loro corso, mi cresce la barba e io che ero venuto solo a comprare lo zucchero che penso quante volte nella mia vita sono stato e sono il festaiolo al supermercato, ricoprendo delle volte il ruolo di quello con la lista, dell’aiuto e del pirla. Si ruota.
Piatto forte: Chupito vodka e rhum perchè si sono dimenticati il succo alla pera.

Nonostante tutti questi soggetti io però sono convinto che, a starci dentro davvero tanto, al supermercato, girovagando tra la lattuga in offerta e i pavesini, tra il riso carnaroli e i ceci sgusciati, potrebbe essere facile trovare persone affini. Al carrefour vicino a casa mia hanno messo un reparto con i biscotti inglesi, i walkers, che io amo alla follia. Sono in pratica dei mini panetti di burro cotti, contengono colesterolo puro. Grasso solidificato. Ne avevo fatto incetta nel mio primo viaggio in Inghilterra e me n’ero portato a casa una scorta. Li mangiavo tornato a casa da scuola, al liceo, sdraito sul letto mentre guardavo Scrubs. Le briciole sulla maglietta, che piegavo per non perderle, e le mangiavo. Pochi giorni fa ho rivisto quell’inconfondibile fila di scatole rosse e nere tutte decorate e mi è venuto un tuffo al cuore. Gli ho comprati e prendendo la scatola ho notato che tutte le file erano intatte, salvo una che aveva una scatola che mancava, era stata acquistata. La donna della mia vita sono sicuro che è quella che ha preso il pacchetto di walkers e badate bene che stavolta me la sto rischiando forte, perché si è vero, non sarà ne una salutista, una bambocciona, una finta chef e nemmeno una festaiola, ma non prendiamoci in giro, perché se mangia quei biscotti al burro verosimilmente avrà un culo come una portaerei. 


giovedì 15 maggio 2014

Sulle spalle il numero 4



La mia seconda partita allo stadio la ricordo distintamente. Anzi, a dirla tutta, la partita non me la ricordo per niente, quello che in realtà ricordo bene sono i momenti prima di salire sulla gradinata di San Siro.
Mi portò mio padre, insieme ad un gruppo di altri amici, uno dei quali aveva i pass per entrare nell’area stampa vicino agli spogliatoi. Mancava poco all’inizio della gara e la stanza era affollata da piccoli gruppi di giornalisti che intervistavano i giocatori che quella domenica avrebbero guardato la partita dagli spalti perché squalificati. C’era Benoit  Cauet, francese dalla chioma bionda fluente. C’era Ivan Zamorano, cileno anch’esso dalla chioma folta, mora lui, nero come tutti i sudamericani. E poi c’era un terzino arrivato tre anni prima dall’Argentina con un sacchetto di plastica e solo due giornalisti ad accoglierlo all’aeroporto, pettinatura  con riga, diventata, col tempo, uno dei suoi marchi di fabbrica. Il suo nome era Javier Aldemar Zanetti, detto "el tractor". Un atleta tutto nervi, scarno, che aveva rischiato di lasciare il mondo del calcio perché troppo magro, non aveva fisico dicevano, col tempo ha dimostrato di essere un atleta d’acciaio, che ad agosto tornava in forma semplicemente scendendo la scaletta dell’aereo di corsa.

Da allora, caro capitano, di cose ne sono cambiate, tante quanti i chilometri che hai percorso su quella fascia destra.
Mentre tu diventavi capitano io diventavo grande. Mentre tu macinavi chilometri il mondo e il calcio intorno a te cambiavano e molti dei miti che lo hanno affollato appendevano le scarpe al chiodo. E’ arrivato anche il tuo momento.
Perché oggi, capitano, se ne va un altro pezzo del calcio quello bello, quello che ti faceva appassionare e sentire appartenente a qualcosa. Il calcio quello dei veri giocatori come Del Piero e Maldini. Il calcio delle bandiere. 
Il calcio dove gli avversari hanno onore e per loro bisogna portare più rispetto che per noi stessi. Il calcio che era un po’ più sport, quello delle luci a San Siro e dove un vero giocatore lo vedevi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.
Il calcio leggenda, che forse non tornerà più.
Hai salutato il calcio mentre io ero su un aereo che tornava da Amsterdam, anche se il mio cuore era dentro il Meazza, appena tornato a casa ho guardato il video del tuo saluto, sguardo e voce ferma nonostante qualche singhiozzo.
Caro capitano, sei stato più che un giocatore, questo lo sai. Sei stato uno dei veri signori di questo sport, un uomo integro ed un avversario onesto.
Sei stato imprendibile, là sulla fascia.
Sei stato commovente delle volte, quando più nessuno sapeva cosa fare e tu correvi lo stesso.
Sei stato l’unico atleta di cui ho avuto il poster in camera.
Sei stato un uomo d’acciaio, ma con tenerezza.
Lasci il calcio giocato a 41 anni, più di 800 presenze, belle vittorie, parecchie sconfitte ed uno svariato numero di record personali, anche se queste cose poco importano. 
Lasci il calcio giocato e mancherai a tutti quanti.
Ora che finisce ufficialmente un’era, ricorderò sempre com’eri in campo, gol pochi e chilometri tanti. Che poi è quello che mi hai insegnato, cioè che molte volte, per essere i più grandi, non serve fare più goal, serve solo correre senza arrendersi mai.
Ciao capitano, grazie di tutto.