sabato 30 marzo 2013

Quelli che...

Da leggere, fischiettando "Quelli che"...

Quelli che vogliono Mario…

Quelli che invece certe notti si vedono da Mario prima o poi…
Quelli che fumano la sigaretta elettronica…
Quelli che l’Italia agli europei non aveva speranze, ma in finale ci siamo arrivati, oh yeah
Quelli che i politici sono tutti ladri uguali… Quelli che hanno votano 5 stelle perché le recensioni erano  buone oh yeah
Quelli che guardano Striscia e si indignano per gli sprechi… poi votano chi gli promette il ponte sullo stretto oh, oh yeah
Quelli che “stasera c’ho un apericena in centro”, poi li trovi all’autogrill a mangarsi il camogli, oh yeah
Quelli che piangono quando vedono un film di Troisi…
Quelli che vanno in Australia, in Thailandia, in Brasile….Quelli che invece vanno a Pogliano Milanese…
Quelli che il doppio senso è uno stile di vita, ooooh yeaah

Quelli che non ci resta che l’ippica e il Sulcis…
Quelli che se avessi in squadra Xavi e Iniesta segnerei anche io…
Quelli che giocano alle slot e hanno messo solo un’euro… si guarda è il primo che metto… ieri ne ho scaricati duecento…chissà come fanno…
Quelli che corrono la domenica mattina, oh yeah
Quelli che “preferisco il treno all’aereo che quando arrivo sono già in centro”…
Quelli che mettono il dolcificante nel caffè…
Quelli che non arrivano mai alla fine del mese…
Quelli che non arrivano mai alla fine di niente, oh yeah
Quelle che passano la vita allo specchio a mettersi l’eyeliner, arrivano che la serata è già finita da un’ora, e si fanno riaccompagnare a casa dal camion che raccoglie il vetro, oooooh yeah

Quelli che…

Quelli che non sanno cos’è l’amore, quelli che non lo cercano ma lo trovano, allora lo buttano via perché  non lo cercavano, ma poi invece lo volevano, allora lo cercano, e non lo trovano, smettono di cercarlo e lo ritrovano, ma ancora non sanno cosa cazzo sia, oh oh yeah…
Quelli che “eh cosa pretendi siamo in Italia”….Ma va cagare!
Quelli che ancora non capiscono perché Abatantuono dopo aver fatto Marrakech express, Mediterraneo, Turnè e Puerto Escondido abbia sentito il bisogno di fare il seguito di “ecceziunale veramente”….
Quelli che poi leggono quanti soldi ha preso… allora capiscono….
Quelli che invece, ancora non capiscono…
Quelli che ne fanno sempre una questione di strategia…
Quelli che fanno finta di non fare finta, oh yeah
Quelli che si sentono stretti…
Quelli che si sentono fin troppo larghi…

Quelli che…

Quelli come Armando, di Castellitto…
Quelli che Messico e nuvole, che voglia di piangere ho…
Quelli che la vita l’è bela basta avere l’umbrela…
Quelli che ci vuole orecchio…
Quelli che amano vedere di nascosto l’effetto che fa…
Quelli che non hanno ancora capito perché inizio ogni frase con “quelli che”, oooooh yeah

Quelli come Enzo Jannacci, che saranno sempre troppo pochi…
Quelli che “scusa Enzo se mi sono permesso”…
Quelli che “Enzo grazie, ci mancherai” Oooooh yeeeaaaah

mercoledì 27 marzo 2013

La Perla della turca

Era una ragazza semplice, di quelle che sognano dietro ai libri e alle poesie, e se la vita è carogna non importa, una ragione buona per sorridere la trovi comunque.
A. Baricco

Vi avviso subito che stavolta l’ho presa un po’ alla larga. Quindi mettetevi comodi e non scoraggiatevi subito. Ci metterò un po’ ad arrivare al punto. Ma ci arrivo. Giuro.


Durante il mio ultimo viaggio mi sono ricordato quanto mi scappi spesso la pipì. La faccio ormai con la cadenza con cui la fa un levriero la domenica pomeriggio in giro per boschi che non hai mai visto.
La cosa inizia a diventare seria e preoccupante. Più passano gli anni più la mia autonomia si riduce drasticamente. Il che mi porta, quando sono in giro, o in viaggio o semplicemente fuori casa, a far visita a diversi bagni e alberi, pubblici e non (sia i bagni che gli alberi). La collezione inizia a prendere forma. Ho pisciato in bagni di Renzo Piano, Herzog e De Meuron, Zaha Hadid, Alvaro Siza, De Lucchi,  Botta,  Ghery, Foster, Libeskind, Koolhsas, Mies van der Rohe, Fuksas, Sejima e tanti altri (sia bagni che alberi).
Mi trovo quindi ad averne una discreta esperienza tanto che il mio livello di standard di qualità della progettazione di un cesso si è alzata esponenzialmente. 
Mi indigno letteralmente quando aprendo la porta verso l’interno questa sfiora la punta del water. 
Picchierei con violenza selvaggia quelli che posizionano il water su un gradino, per  far passare sotto i tubi, e tu ti trovi più in basso di 20 cm. 
Ucciderei quelli che ti costringono a pisciare in un metro quadro netto di spazio e fuori lasciano dei corridoi dove ci potresti passare con un cingolato.
Una cosa che amo fare quando gironzolo con lo sguardo mentre con le mani sorreggo la strumentazione è leggere le scritte che adornano e decorano le mura di questi piccoli luoghi fatati ed estranei allo scorrere del tempo (solo nei bagni non sugli alberi). Tralasciate la classiche, ormai banali, che non starei a ripetere per questioni di pudore, ogni tanto si  trovano alcune perle letterarie di grande finezza intellettuale e straripante ironia che ti costringono quantomeno  a sorridere. Per poi magari scoppiare a ridere un paio d’ore dopo, ripensandoci, così, senza ragione.
Ne consegue che la nostra vita è colma di piccole soddisfazione, sottili ironie, semplici gioie.
Io sono convinto che per essere davvero sereni non si possa aspettare che succeda qualcosa di incontestabilmente bello, utile, giusto, che ci metta nella condizione in cui abbiamo diritto inalienabile e dovere (o obbligo) di essere felici. Bisogna arrangiarsi, ogni giorno, e cercare di sorridere e trovare il buon umore nelle piccole cose, anche fosse una scritta “affrescata” sul cesso della stazione. La cosa bella è che queste piccole e semplici cose sono dappertutto. Non so, per esempio:

Si può trovare il buon umore mangiando. Lasciandosi sorprendere ogni volta da un sapore diverso, cercandone sempre di nuovi. E ancora di più scovando il posto giusto dove andare a cibarsi.
Quando cammini per chilometri sul lungomare di Valencia per stanare La Lonja del Pescado frito, dove cucinano il pesce migliore del mondo e mangi in tavoloni da festa dell’unità, solo che invece che cantare “Bella ciao” al massimo puoi sentire un cileno che urla “el pueblo unido jamas serà vencido”. Dignitoso comunque.
Quando cerchi di dialogare in romano, a Roma, con Dino e Tony, che ti lanciano al tavolo un piatto di gricia strillando “ ’Aaa Roma è magggica, ‘aaa Lazio è tragggica”.
Quando assapori sottobanco un bicchiere di un liquore fatto in casa dal siciliano in canottiera che ha aperto la pizzeria “Sharm el Sheikh” sull’Isla de Arousa, Galizia.  Non è dato sapere che cosa ci fosse in quel liquore, nè se Salvatore (aveva la faccia da Salvatore, il pizzettaro) avesse mai visto altri cinque italiani su quella cazzo di isola.

Si può trovare il buon umore tornando a casa dal lavoro, in macchina, decidendo di fare la strada più lunga perché ti piace che costeggi il lago. Quella strada ti piace così tanto che speri ci sia un ingorgo, un rallentamento. Speri che nelle notte abbiano messo un nuovo semaforo, e di trovarlo rosso. Assapori i chilometri, e ti godi ogni curva, sdraiato sul sedile, con un braccio sulla portiera, due dita sul volante e la musica giusta nello stereo.

Si può trovare il buon umore una mattina, una delle tante, salendo su un tram di Milano. C’è  una zingara dallo sguardo imperturbabile e freddo, come le montagne dalle quali arriva, intenta a suonare una fisarmonica. Cammina avanti e indietro per il tram strisciando la sua gonna colorata, decisamente troppo lunga, e mentre lo fa suona una musica balcanica, nomade, vagabonda. Ti entra nel sangue senza che nemmeno te ne accorga. Sorridi e pensi, guardi fuori dal finestrino. Sogni. Fino alla fermata dopo quando il rumore delle porte del tram che si aprono troncano di colpo la zingara, con lo sguardo imperturbabile e freddo, come le mattine di Milano.


Non si può essere felici solo quando non puoi fare altro. Il tempo passa troppo in fretta e se si aspetta di essere felici solo quando tutto è perfetto, rischieremmo di non esserlo mai. Ho una voglia matta di serenità data dalle cose semplici. Di farmele bastare. E di  avere sempre un sorriso, per ogni cosa.

martedì 19 marzo 2013

Quella brutta bestia



Poi ci sono dei giorni, che ritorna qualcosa che pensavi se ne fosse andato. Non sai perché. Fino a ieri stavi bene, avevi nuove idee e nuovi sogni. Sembravi finalmente uscito dal tunnel. Tanto che ad un certo punto ti eri anche detto: “ bè ma alla fine tutto qui?!” … Ti trovi a scoprire, senza preavviso, che “tutto qui un cazzo.” 
Quando riesci a mettere da parte tutte le cose che non contano davvero ti accorgi che semplicemente hai nostalgia, non quella sana, hai malinconia, ti manca tutto di quello che avevi prima e in un lampo ricordi quanto era bello e vero. Nello stesso tempo ti arrabbi con te stesso perché sai che ti manca qualcosa che ti farebbe stare ancora male.

Arriva, di quando in quando, questa sofferenza subdola e meschina. Non ti avvisa prima di colpirti, ti aspetta dietro ad un angolo, nella notte, nascosta nel buio. Sbuca da sotto il tavolo o da dietro un albero. Ti sorprende alle spalle, vigliacca. Basta poco perché ti trovi: un profumo, un’immagine, una voce. Basta una scritta su un muro o l’odore di un’erba. Rimani spiazzato ed impreparato, non sai come rispondere ai suoi colpi e senza che te ne renda conto sei steso per terra a guardare in alto e a sperare che se ne vada presto. Non riesci ad alzarti. Ti manca il respiro, apri gli occhi a fatica, senti la sofferenza ridere di te. Guardi il cielo, e pensi che l’unico modo sia andare via di qua. Volare via perché sei circondato dai ricordi, che non esiteranno a chiamarla, la sofferenza, ogni volta che sembrerà andare meglio.
A volte ti attacca di notte, mentre sogni, quando sei più debole. Codarda, non si presenta mai davanti a te. Nei sogni ti altera la realtà, la tua percezione di verità, si permette di prenderti in giro e tenderti delle trappole. Ti svegli e rimani nascosto qualche secondo sotto le coperte, a domandarti che cosa è successo, a chiederti se è tutto vero. Esattamente come facevi da bambino, lì dove nessuno ti vede.
Puoi combatterla, appena riesci a rialzarti da terra. Ma se prima la combattevi insieme a chi ti stava vicino ora devi farlo da solo. Devi tirare fuori le tue armi nascoste, lasciate in soffitta a prendere polvere. Devi prendere la scala e una torcia e andare a cercare dove sono. Dovrai caricarle in fretta, e anche capire come usarle probabilmente. Ti eserciti un po’ finchè la sofferenza non ti sorprenderà di nuovo, e magari quella volta sarai pronto ad accoglierla come si deve.
E’ una brutta bestia davvero, perché appena sei pronto ad affrontarla, scappa e si nasconde. Dopo un po’ che la conosci ti accorgi che quando si nasconde e scappa, va a rifugiarsi dentro di te… e non puoi far altro che aspettare che torni fuori, per combatterla e ucciderla. Per sempre. Serve tempo, tanto a volte. Serve pazienza.
Mentre si nasconde continui con la tua vita, come hai fatto finora.
Ti prepari ad accoglierla con la consapevolezza che quando deciderà di uscire da dentro di te per tornare ad attaccarti, se riuscirai a trovartela faccia a faccia, potrai fargliela pagare.

Dedicata a me...e...

domenica 17 marzo 2013

Per tradizione ho delle tradizioni

http://www.youtube.com/watch?v=SsSVcRYh8dE

Negli ultimi giorni sui giornali, nei telegiornali, su internet, sui social network, dal parrucchiere non si parla d’altro: è stato eletto il nuovo papa. Francesco I.
La smisurata portata mediatica dell’evento ha fatto in modo che seguisse in diretta la proclamazione del nuovo pontefice anche gente come me che è abituata ad entrare in chiesa unicamente alle undici e quaranta del 24 dicembre (per trovar posto seduti). 
Tre cose mi hanno colpito:
La sobrietà con la quale si è presentato al mondo.
La quantità di telecamere utilizzate per riprendere il balcone, mancava giusto che mettessero la GoPro in fronte al Bergoglio. Certe inquadrature poi, sembravano immagini di repertorio di  Angeli e Demoni tanto che mi aspettavo che da un momento all’altro uscisse, in tuffo dalla porta finestra, Robert Langdon travolgendo il povero Jorge Maria per proteggerlo da qualche improbabile attentato.
La terza, e quella di cui vorrei parlare, è stata la quantità di rituali che si sono susseguiti. Rituali che, si ripetono uguali da centinaia di anni, ogni volta che viene eletto un nuovo papa. Tradizioni.
Ricapitolo brevemente, per chi non lo sapesse, cosa succede dopo la votazione nella cappella sistina. Cito wikipedia (no, non lo sapevo nemmeno io prima di leggerlo):
Al termine del conclave, il papa neo-eletto si ritira nella "stanza delle lacrime", ovvero nella sacrestia della Cappella Sistina, per indossare per la prima volta i paramenti papali con i quali si presenterà in pubblico dalla Loggia delle benedizioni della basilica di San Pietro. Il nome di tale luogo deriva dal fatto che, si presume, il pontefice scoppi in lacrime per la commozione e per il peso della responsabilità del ruolo che è chiamato a svolgere.
Tradizionalmente nella sacrestia sono presenti paramenti papali di tre diverse misure, che possono approssimativamente adattarsi alla taglia del nuovo eletto.
Dopo la vestizione con i paramenti papali, il neoeletto ritorna nella Cappella Sistina e siede alla cattedra. Il cardinale decano invita il nuovo Papa, «eletto alla Cattedra di Pietro», a rileggere il testo di Matteo16,13-19, con il quale Cristo promise a Pietro e ai suoi successori il primato del ministero apostolico.
Dopo la lettura evangelica e la preghiera per il nuovo Papa, i cardinali si accostano al Sommo Pontefice per prestargli l'atto di ossequio e di obbedienza. Infine viene intonato il canto del Te Deum.  A questo punto il conclave è ufficialmente terminato.
Il cardinale protodiacono si affaccia quindi dalla loggia della Basilica di San Pietro e dà l'annuncio della nuova elezione con l'Habemus papam; lo seguirà il nuovo pontefice, preceduto dalla croce astile, che impartirà la solenne benedizione Urbi et Orbi.

Minchia!
Allora ho iniziato a pensare, ma anche noi nella vita di tutti i giorni abbiamo dei piccoli rituali o delle tradizioni? Io direi di si. Qualche esempio...
Tipicamente la sera prima che i miei cari genitori partano per le loro vacanze lasciandomi casa libera, mi sollazzo guardando, ogni volta, Risky Businees, film degli anni 80 con un Tom Cruise ventenne che viene anche lui lasciato a casa dai genitori in partenza. Stufo di trovarsi solo con gli amici pensa bene di assoldare delle prostitute per farle lavorare nelle varie stanza di casa sua, allestite a bordello, prendendo una percentuale dell’incasso delle ragazze. (si, lo trovo geniale). Finale rocambolesco che non vi svelo.
Dopo tanti anni, ancora non ho capito se lo guardo come monito o per trarne ispirazione.
Quando arriva il Natale le tradizioni aumentano esponenzialmente. L’albero di natale fatto con “paint the sky with stars” di Enya in sottofondo (si, ascolto Enya), Il film della vigilia, la cena della sera con due amici che vedo una volta l’anno (la vigilia appunto), il vin brulè con tutti i miei amici all’una di notte dopo la “piva”.
Ma ho anche tradizioni molto più particolari. Quando vado in Inghilterra, ad esempio, la prima canzone che devo sentire sull’ipod poggiando il piede suolo anglosassone è “God save the queen” dei Sex Pistols. Per forza.
Il 2 o 3 agosto di ogni anno escono le quote del fantacalcio. Ogni anno vado a comprare la gazzetta in bicicletta e leggo tutte le quote sorseggiando un gatorade al limone. Strane scaramanzie. Non proseguo a parlare di rituali prima delle partite perché rischierei di scrivere 40 pagine (ogni riferimento a fatti o persone realmente vissuti è puramente casuale).
Ho fatto tre anni a mettere, ad ogni esame, la stessa identica camicia, che puntualmente inzuppavo di sudore come se avessi avuto addosso una pelle di Grizzly adulto. Questo il motivo per cui tra un esame e l’altro ho sempre fatto passare qualche giorno. Non era questione di preparazione, dovevo lavare la camicia.
Il primo bagno al lago tradizionalmente va fatto al massimo nella prima decade di aprile (si, è capitata la febbre il giorno dopo delle volte).
Poi alcune invece le fai involontariamente.
La canzone che metti nel tragitto dall’università a casa dopo che hai superato un esame, quella che metti in macchina quando stai per partire per un lungo viaggio, o quella che ascolti quando fuori piove.
La frase che dici ad un tuo amico che non vedi da tempo che ti riporta istantaneamente nel momento in cui l’hai pronunciata per la prima volta. E’ tradizione che vi salutiate così.
Il posto in cui vai, quando devi riflettere e scegliere.
E’ bellissimo avere dei piccoli rituali, e anzi, posso davvero affermare che per tradizione ho delle tradizioni.
La cosa difficile, tuttavia, è non oltrepassare il sottile confine che c’è fra divertenti costumi e noiose abitudini.

Per intendersi, questo è Risky Business:

lunedì 11 marzo 2013

Il Ragno di Malnate

Dedicato alla vecchia IV A
http://www.youtube.com/watch?v=RMB3M43AEpc


Oggi voglio raccontarvi una storia. Una storia vera.
E’ la storia di una montagna e di due uomini che ne hanno scalato la vetta. Una montagna che domina la Patagonia, sola, solenne, sbruffona. Lì nella terra del fuoco, ai confini del mondo che consociamo. Una terra troppo lontana anche per essere immaginata. Luoghi sentiti nominare, narrati, caricati di immagini sublimi.
E’ li che svetta la torre Egger, a fianco del Cerro Torre, cime tante volte sfiorate e solo, forse, poche volte raggiunte nella notte dei tempi dell’alpinismo mondiale. Prende il nome da Toni Egger, che morì nel 1959, travolto da una valanga dopo averne raggiunto la cima. O almeno così afferma Maestri, il suo compagno di allora, che non potè mai dimostrare la conquista perché Egger, cadendo, portò con sé la macchina fotografica che documentò l’impresa. La torre da allora diventò una delle tante leggende che gli alpinisti del mondo si raccontano nelle notti stellate d’estate. Vecchio pallino di tanti. Sogno ricorrente di tutti quelli che praticano questo sport.
Fino a quando tre anni fa, Matteo, un alpinista di 26 anni, non cercò, insieme ad un compagno, di scalare la famigerata parete ovest della torre. Un muro verticale, liscio, di granito levigato nei secoli dal vento oceanico che spira cattivo, senza sosta. Iniziarono a salire sfidando le estreme condizioni atmosferiche di quei luoghi. Il maltempo non cessò, mai, finchè non riempì interamente la parete di ghiaccio. I due si dovettero fermare, dovettero tornare indietro. Sarà per l’anno prossimo. La montagna rimase così inviolata, ancora una volta, fiera e orgogliosa.
L’anno dopo non andò meglio. Matteo e il suo compagno di sfide arrivarono un po’ più vicino ancora, ma anche questa volta qualcosa andò storto. Qualcosa si ruppè e Matteo cadde per tre metri nel vuoto perdendo la telecamera e facendo sbattere la bocca del compagno su un blocco di ghiaccio. Rimasero sospesi nel vuoto, appesi ad una corda attaccata per miracolo ad un friend di ferro incastrato nella roccia, decisamente troppo piccolo per reggere entrambi. Fu un miracolo appunto, quasi qualcuno tenesse quella corda dall’alto…..
Chi ha avuto la fortuna di conoscere un alpinista sa che la determinazione e la tenacia sono le due più grandi qualità che possiede. Non si danno per vinti, mai. Perché per arrivare in cima alle loro vette sanno di dover fare fatica, e che essa fa parte del gioco, anzi, è pure il bello. Sanno che non è mai un’impresa facile. Sognano la meta, la visualizzano, continuano a pensarla, senza sosta. 
E così ha fatto Matteo, il ragno di Malnate. Pochi giorni fa, il 3 marzo, Matteo è arrivato in cima alla vetta, con un altro ragazzo giovanissimo. I due sono i primi al mondo che hanno violato la parete ovest della Torre Egger, la vetta a guardia della Patagonia.
Non so sinceramente cosa si possa provare nel momento in cui, esausto e sfinito, metti piede sulla cima di una montagna come quella. Posso solo provare ad immaginarlo. Penso che per un attimo passi tutta la fatica. Credo che arrivi una voglia incontenibile di urlare al mondo che ce l’hai fatta. Suppongo che possa essere il momento più emozionante della vita di un uomo. Immagino, ma non lo so. Quello che invece so, è a chi Matteo ha dedicato la sua vittoria. Non ho dubbi a chi abbia pensato durante tutto il tempo della scalata e poi quando ha guardato dall’alto l’orizzonte, e forse anche più su. Ha pensato al suo maestro, ha pensato a suo papà. Fabio.

Ho letto questa storia per caso, una mattina come tante, sul giornale, un trafiletto di quelli che si nascondono e a volte non si fanno trovare. Non so perché abbia attirato la mia attenzione, o forse si, ma più andavo avanti più prendevo consapevolezza di chi stesse parlando l’articolo. Quando sono arrivato in fondo con gli occhi lucidi, ho chiuso lentamente il giornale, ho guardato in alto e dentro di me avevo come un senso di liberazione, quasi quella vetta l’avessi scalata io. E mentre lo facevo, mi sono accorto che stavo sorridendo. 
Bravo davvero Matteo, sappiamo tutti quanto sarebbe stato orgoglioso di te.

Per chi non ha conosciuto Fabio:

venerdì 8 marzo 2013

La Scatola di Marta

http://www.youtube.com/watch?v=zvCBSSwgtg4

La notizia degli ultimi due giorni è che è nata la figlia di un mio amico: Marta.
Abbiamo festeggiato giovedì sera, con suo papà, a 17 ore dalla sua nascita. Abbiamo brindato e scherzato come si conviene in queste occasioni. Abbiamo mangiato insieme e ci siamo fatti raccontare del parto, di come sta la mamma, di com’è la bimba.
Poi abbiamo fatto qualcosa in più. Non so per quale motivo ma sentivamo l’esigenza di dover lasciare un piccolo segno. Così abbiamo preso una scatola e l’abbiamo regalato al nuovo papà, con l’impegno di darla a Marta il giorno del suo diciottesimo compleanno. Dentro abbiamo messo quattro quotidiani, presi il giorno della sua nascita, così potrà vedere com’è il mondo oggi, e potrà vedere se qualcosa è cambiato. Abbiamo messo una bottiglia di cognac che nella nostra idilliaca visione del mondo aprirà il 7 marzo 2031 e brinderà a noi, gente di cui magari, non sentirà nemmeno mai parlare. Ma non solo. Finita la cena abbiamo preso dei fogli di carta, ce li siamo passati, e ognuno di noi ha scritto una piccola descrizione di sé, una fotografia di com’è ora e della aspirazione e dei sogni che ha ognuno di noi. Una piccola istantanea diciamo.
Quando abbiamo chiuso la scatola abbiamo iniziato a fantasticare… leggerà mai queste righe? cosa si realizzerà di quello che abbiamo scritto?...mi raccomando però, ovunque saremo il 7 marzo 2031 ci troveremo per brindare insieme con questo cognac… pensa quando aprirà la scatola, magari non ci saranno nemmeno più i fogli di carta… si va bè ragazzi la apre tra 18 anni non nel 2890…
Mi piace pensare che quella scatola rimarrà davvero chiusa fino a quel giorno, e che quando Marta la aprirà, anche se non saprà chi siamo, e probabilmente nemmeno gliene fregherà nulla, una piccola parte di come siamo ora uscirà nel mondo, magari travolgendoci, a ricordarci di colpo chi siamo stati.
Forse avremmo dovuto aggiungere qualche oggetto anche. Un qualcosa simbolo del nostro tempo. In effetti non saprei nemmeno cosa. Cioè si insomma non potevamo mica mettere dentro un’ipod…

Tornando a casa mi sono messo a riflettere. facendo due conti, il 7 marzo 2031 avrò 41 anni. Sarò appena entrato negli “anta”. Sarò già nella terza stagione della vita, quella della crisi di mezza età (a voglia lì mettersi a scrivere un blog per superarla), chissà come sarò combinato.
Potrei essere un architetto semi affermato che vive in Danimarca, sposato con una brasiliana conosciuta durante il master a Rio de Janeiro. Era stufa del Brasile e così innamorata di me che ha deciso di seguirmi a Copenaghen. Entrambi sappiamo malissimo il danese nonostante siamo qui da un po’, e odiamo il freddo terribilmente, ma si sa, il lavoro è lavoro. Magari quando i bambini iniziano le medie ci trasferiamo a Valencia. Abbiamo due bambini piccoli con la carnagione olivastra come lei. Mi ha convinto ad andare ai corsi di ballo latino americano, il martedì e giovedì sera.
Magari invece sarò uno scrittore che lavora a casa, al mattino, in una stanza con una vetrata che da sul lago. Ho scritto un romanzo di successo dieci anni fa e da allora non riesco più nemmeno a scrivere i biglietti di auguri a Natale. Campo di rendita, vado a prendere i figli a scuola e preparo pranzo e cena sperimentando piatti esotici. Colleziono sassi e altre cazzate. Ho una donna meravigliosa, quella che ho sempre saputo. Lavoro poco, mi godo i frutti di un successo inaspettato e quando la sera mi metto a letto dopo averli visti crescere un altro giorno, sono sereno.
O forse mi perderò per il mondo, a vivere avventure. Magari in Africa, cercando di fare qualcosa per chi non ha nulla. O in Sudamerica finendo in qualche piantagione in mezzo al niente, a fumare la sera e bere Pina Colada su una spiaggia deserta. Ho lasciato un mondo che non capivo più. Faccio in modo di rovinare tutte le relazioni che trovo perché non ho più fiducia nell’amore e nelle persone. Mi piace pescare e andare a caccia. Ogni tanto scrivo ai miei cari a casa, poche righe, e in fondo, dico sempre che va tutto bene.

Non lo so sinceramente, so solo che ora ho ancora la vita davanti, ho un foglio bianco su cui posso scrivere e disegnare quello che voglio.
Marta, una cosa, tra 18 anni, ovunque sarò, se ti ricordi, fammi sapere cosa ho scritto ieri sera sulla lettera e come sono adesso...ci conto!
Per il resto, buona fortuna.

martedì 5 marzo 2013

Camera da letto


L'avrete ormai capito. Sono un persona che ama prendersi della piccole pause a volte per stare appoggiato ad un muro, e osservare la gente e i suoi comportamenti. Chinare di lato la testa come JD di Scrubs e navigare un po’ con la fantasia...pochi minuti, niente di più..Mi piace analizzare le sfumature del carattere delle persone, illudermi di conoscerle, di capirle, di sapere chi sono, e a volte anche, che cose vogliono, a che cosa aspirano. È ovvio, non ci prendo sempre, ma nemmeno così raramente. Ho imparato negli anni, come fare a provare a capire la personalità di una persona, o almeno a provare ad immaginarla.. Si può partire da come una persona ti guardi negli occhi. Benissimo. Come parla. Ok. Come si veste, va bene.. Come lavora, come sogna, come mangia, come si diverte, come esagera. Tutto perfetto. Ma mancava sempre qualcosa. Voi direte: “va be ovvio”, a volte non basta una vita per capire una persona, sarebbe troppo facile in così poche mosse. Vero anche questo, ma, da tempo ormai, coltivo un'idea. 



http://www.youtube.com/watch?v=sN0b-adUt9I

Per conoscere davvero una persona, devi passare dalla sua camera da letto.
Fermi, stop! …..No, non in quel senso. (E qui metà della gente chiuse la pagina).
Sono convinto che guardare la camera di una persona sia la maniera più rapida per capire che persona sia.  
Sono miei viaggi mentali, lo ripeto. Però ecco, se qualcuno non mi conoscesse, e stesse in camera mia da solo per un’oretta, credo che si farebbe un’idea precisa di chi sono. Le camere da letto sono piccoli santuari rivolti a sé stessi, piccoli angoli dove poter esternare le proprie passioni, e dove poter esercitare il proprio modo di vivere e abitare (si, insomma altrimenti non mi spiego perché dovrei svegliarmi alle tre di notte a prendere le misure per vedere di farci stare invano un cucinino con angolo cottura e frigobar nella mia).
Vediamo qualche esempio:

La camera del timido                          
E’ una stanza spoglia, davvero poco arredata. I muri sono vuoti e i pochi oggetti sono attaccati male, precari. Pochi mobili improvvisati e senza armonia. Non è però la camera di persone banali o senza personalità. La trovo piuttosto per persone misteriose, introverse, spaventate forse, magari con un carattere meraviglioso, ma troppo impaurite per mostrarsi all’esterno e correre il rischio di farsi giudicare, o di sentirsi inadeguati. Di fronte al letto hanno uno specchio, per continuare a guardarsi, per controllare che siano in ordine e magari a volte per farsi dire che sono le, (o i), più belle del reame.

La camera del bravo ragazzo
Più che una camera è un vero e proprio studio, pieno di libri, quaderni, evidenziatori e altro materiale di cancelleria. Computer. Tutto pronto per essere usato, studiato, scritto. Magari ai muri c’è appeso il diploma, o una foto di gruppo delle vacanze studio estive. Letto molto sobrio, con lenzuola monocolore e sempre rimboccate. Un bel tappeto e sopra un puff, dove ogni tanto buttarsi e guardare il soffitto, di un colore diverso dalle altre pareti. Non c’è mai disordine in questa camera, non c’è spazio per l’errore. Sul letto ha il peluche dell’infanzia, che ti guarda, ti ricorda com’eri, e mi piace pensare che alcuni lo prendano tra le mani quando qualcosa va storto. Camera di persone precise, che non si concedono pause. Un po’ troppo legate a quello che fanno, e meno a ciò che vogliono essere.

La camera dello sportivo
Tremendamente disordinata. Ha un armadio talmente raso che quando lo apri rimani sommerso dall’accappatoio della piscina che ti cade addosso ancora umido, che quello non si asciuga mai nemmeno se lo metti nel forno ventilato a 250 gradi. Nell’aria c’è sempre quella fragranza di piedi cotti che sprigionano le scarpe da corsa, lasciate a stagionare vicino alla porta. Di fronte al letto, mai in ordine, rigorosamente la tv con la play station attaccata e il cavo del telecomando tirato, teso, nel quale inciampi sistematicamente ogni mattina. Sul resto delle mura, sia che lo sportivo pratichi il cricket sia che faccia equitazione ha settemila poster di calcio di ogni giocatore che abbia fatto più di venti goal in carriera dal 1975 ad oggi. I poster di solito non sono tenuti insieme da nastro adesivo ma direttamente da figurine panini. Camera per persone sportive appunto e anche un po’ monotematiche.

La camera del forestiero
E’ una camera sempre in penombra, con le finestre mai tutte chiuse o del tutto aperte. E’ di chi viaggia spesso e le uniche finestre che spalanca sono quelle della fantasia, quelle verso altri mondi. Ha un trolley sempre pronto a partire, ai piedi del letto, sempre sfatto, e di fianco una bacheca, sulla quale attacca con le puntine i suoi ricordi, sparsi, disordinati. E’ arredata con uno stile etnico, esotico, e ai muri sono appesi i suoi suovenir, i biglietti del treno o dell’aereo che l’ha portato in giro, e di sera, è illuminata da lampade di diversi colori, di solito rossicci. Nell’aria, non sempre, c’è l’odore di incensi (o di curry). E’ la camera di persone sorprendenti e mai noiose, che hanno sempre una storia da raccontare nascosta in qualche cassetto, della memoria o del comodino.

La camera del “Seth Cohen”
Va bè che dire, è la mia preferita. Camera che trasuda cultura pop/vintage/beat generation da tutti i pori. Famoso Horror vaqui, già citato, di poster su ogni mura della camera, anche se il più importante rimane quello dietro al letto. Cimeli con citazioni musicali e cinematografiche in ogni millimetro cubo. Oggetti appesi, avvitati, incastrati, appoggiati, incollati ovunque. Letto ad una piazza e mezza con lenzuola tematiche. A volte con una poltrona, sulla quale vengono condensati i vestiti di settimana in settimana fino a quando non ci si trova l’armadio completamente vuoto. I migliori hanno anche un giradischi e fanno suonare i vinili. Hanno sempre un libro sul comodino, spesso macchiato dalle gocce di birra che appoggiano di fianco, la sera, quando guardano i film. Loro sono artisti, scrittori, anime creative, che si lasciano influenzare più dai loro miti che dalla realtà nella quale vivono. Persone con una marea di interessi, persone piacevoli, colte, eclettiche.

Questi sono solo cinque esempi, ma ce ne sono moltissimi altri.
Quindi, se la vostra camera non vi somiglia e non vi rappresenta, se non la sentite davvero l’immagine della vostra personalità, avete due scelte: o la modificate o potete solo sperare che se portate qualcuno in camera vostra, non sia per guardare com’è arredata…

Ecco… Cazzo. Gira e rigira sono finito lì, ditelo a quelli che hanno chiuso all'inizio...

domenica 3 marzo 2013

Quando ti senti infinito!


Lo sapevo che sarebbe andata a finire così. Questo blog diventerà una lista di recensioni di film che mi hanno colpito e si parlerà solo di cinema. Giuro, mi ero ripromesso di non farlo. Però non si può andare a vedere un film come “Noi siamo infinito” e non parlarne. Un film che ti scalda il cuore, che ti lascia finalmente qualcosa dentro, che non capisci fino in fondo e che senti la necessità di sviscerare. Vi do la mia interpretazione assolutamente personale, soggettiva e non autorevole. Prendetela per quello che è.


E’ un film sui “lutti”, e su come superarli o non riuscire a farlo. Lutti per persone che sono scomparse, nel passato, o poco tempo fa, ma anche lutti per persone che semplicemente ti abbandonano, ti deludono, ti lasciano e di fatto muoiono ai tuoi occhi. C’è spazio anche per analizzare il senso di colpa che talvolta ti pervade anche quando sono altri ad abbandonare te, o quando muoiono e tu non puoi far niente, ma ti senti in colpa comunque. Si evincono le conseguenze e le ferite che rimangono, a volte quasi incurabili. Charlie (il protagonista) è sconfinatamente tenero e fragile nell’affrontarli, ma ha anche un senso di incompiutezza, di impotenza, come di lettere scritte a chi ormai non c’è più.

E’ un film sull’amicizia, sul cercare gli amici veri e come fare a trovarli. Charlie, Patrick e Sam sono un trio perfetto. Diversi in apparenza ma con anime gemelle, ognuno con il proprio passato, i propri segreti, così fragili da soli ma così forti in gruppo. Sono ragazzi profondi, mai banali. Ragazzi a cui regali un disco dei Beatles che rappresenta la tua vita passata o i libri nei quali hai rinchiuso le tue aspirazione faticosamente trovate in un anno di scuola, che rappresentano il tuo futuro (forse qui, l’amicizia si è trasformata in amore). Ti ricorda quanto conti nella vita avere al proprio fianco persone vere, leali, e quanto disperatamente ne abbiamo bisogno per sopravvivere. Ragazzi fieri di essere come sono, sensibili, appassionati, emarginati, pur conoscendo i loro limiti e le loro grandi paure, che svaniscono,  con il coraggio che sviluppano quando sono tutti insieme.. “benvenuto nel club dei giocattoli scassati”.

E’ un film sull’adolescenza, età in cui cerchi idoli e mentori (un prof. Di letteratura figo e sicuro di sé), quella fase della vita in cui inizi a costruirti la tua identità, lo si vede dalla differenza tra le camere da letto di Charlie e di Sam, (giuro che un giorno farò un intervento solo sulle camere da letto, sono l’immagine perfetta della personalità di una persona) arredata, con luci di natale sopra al letto a simboleggiare un cielo stellato, cassette musicali ovunque e horror vaqui di poster su ogni mura quella di Sam; con due poster tutti vicini, i primi di una lunga (si spera) serie dietro al letto in quella di Charlie, simbolo di una personalità ancora da capire, da far crescere, da orientare e poi da perfezionare… Età in cui trovi te stesso anche iniziando a selezionare la colonna sonora della tua vita, cercando disperatamente la tua hit e facendo la fatica di sceglierne poche davvero importanti e registrarle su una cassetta (non c’erano ne ipod ne Shazam)… Un tempo in cui inizi a capire che persona sarai, senza rinnegare niente del passato e con la consapevolezza che si debba anche sbagliare: “non possiamo cambiare da dove veniamo, ma possiamo decidere dove andare”.

E’ un film sull’amore. Il primo, che mai ti dimentichi nella vita, e involontariamente influenzerà per sempre la tua visione dell’amore stesso, della coppia, del sesso, dei partner futuri… Ma anche sulla definizione stessa di amore, del perché faccia male, del “perché ci innamoriamo sempre di persone che ci trattano male?” e la risposta, del professore di letteratura: “accettiamo l’amore che crediamo di meritare”. Per alcuni infatti amore è soltanto dare e non necessariamente ricevere, e per chi è così, come Charlie, penserà sempre che non può pretendere nulla, e che la persona che ama si meriterà sempre e comunque di più. Ma il film ti ricorda anche quanto in realtà sia bello amare, e quanto sia bello trovare anime affini, con le quali inebriarsi della vita…

E’ un film sulla libertà. Uscirete dalla sala col un accenno di sorriso sulle labbra e gli occhi chiusi se la testa tornerà subito a quei pochi istanti in cui anche voi almeno una volta vi siete sentiti infiniti, sinonimo forse, in questo caso, di felicità. Momenti in cui ti guardi indietro, sorridi, ti senti libero perché non sei più trattenuto dalle tue paure e capisci che ti bastano solo un paio di amici, un po’ di amore, e allora trovi il coraggio per alzarti in piedi anche quando rischi di cadere come sul retro di un pick-up, ti passa la paura di farti male, e decidi di uscire da quel tunnel che ti sei costruito nella tua vita, ognuno per le sue ragioni, ognuno per colpa dei propri demoni privati. E In quell’attimo, per chi l’ha provato, davvero ti senti libero, ti senti infinito…e aggiungo io, ti senti immortale.