martedì 4 giugno 2013

San Siro 2013

Milano, giugno 2013

Premessa doverosa:
Il mondo si divide in due categorie, chi adora Bruce Springsteen e chi non l’ha mai visto dal vivo.

Sono da poco passate le otto e il sole è appena tramontato dietro al terzo anello, la sera, in punta di piedi, bussa alle porte di San Siro, ospite ritardataria che tutti stavamo aspettando, e piomba sulle teste di sessantamila persone, sopraggiunte in massa per l’evento che parrebbe, tutti quanti stiano aspettando con voglia infinita.
Sono le otto, appunto, e in coda per il bagno sento la folla che urla, esplode letteralmente. Sono all’interno del wc chimico, tirare la leva due o tre volte per igienizzare a fondo, quando sento la voce del boss, Ciao Milano, Ti amo Milano, ti amo Italia.
Corro fuori, non del tutto vestito, non proprio ricomposto.
Attacca con la sua solita potenza, con l’energia che sa infondere solo lui. E si capisce subito che è in forma come non mai, dopo due canzoni scende a raccogliere i cartelli di richieste dei fan. Scoppia, letteralmente, San Siro, e si incendia di rock’n’roll quando improvvisa Good Golly Miss Molly di Little Richards in una versione travolgente.
Ricorda lo storico concerto dell’85 in una delle sue brevissime pause, annunciando che avrebbe suonato tutte le tracce di Born in the U.S.A, album del primo tour in Italia. Le suona tutte, dalla prima all'ultima.
E sono lì, a saltare e urlare su Dancing in the dark e No surrender, a buttare fuori tutto lo schifo che ho dentro, io come migliaia di altri. Lo so. Si vede.
C’è spazio anche per i classici, alcuni dei tanti, dalla favolosa The river, al suo biglietto da visita Born to run.  Invita gente sul palco e come suo solito fa cantare ad una bambina il ritornello di Waitin on a sunny day.
Poi con la chitarra acustica esegue una versione da pelle d’oca di This land is your land
Scorrono anche le immagini, in sottofondo, di Clarence Clemons. 
Siamo alla fine, e proprio quando ci si potrebbe aspettare che calino le forze, il boss, attacca con Twist and shout, e San Siro diventa una bomba, pronta ad esplodere, che esplode, di braccia al cielo, di urla, di twist; il rock, stasera, è a Milano, senza nessun dubbio. Ci si aspetta che sia l’ultima, come l’anno scorso, ancora, finisce su Twist and shout dei Beatles. 
Invece no, non so ancora come sia potuto succedere, ma parte, rapida come un lampo, Shout di Otis Redding, il prato e lo stadio tutto saltano come matti, e giuro, che per un attimo l’ho visto, il fantasma di John Belushi, scendere dieci minuti a ballare con noi, si piega sulle ginocchia e poi torna ad urlare, nel nostro "animal stadium".
Distrutta, la band, saluta ed esce, esausta, dopo più di tre ore di concerto e dieci minuti buoni di Shout. Ma non il boss. Ancora no.
C’è ancora tempo per la chitarra acustica e l’armonica, suona una versione assolutamente struggente di Thunder road, con tutto lo stadio che intona il ritornello, e le note, che rimbalzano dalle gradinate e fuggono da San Siro, escono dai cancelli e volano dentro a Milano, che nel mentre, si addormenta. Arriva a tutti. Corrono, le note, a rimboccare le coperte dei letti dei bambini, passando per i vagabondi in stazione centrale. Entrano dalle finestre del quartiere QT8 (questo lo so per certo), passano per i navigli di porta Genova e si attorcigliano sulle guglie del duomo. Toccano le puttane di corso Sempione e i ragazzi delle colonne di san Lorenzo. Rimbalzano sui muri del castello sforzesco ed echeggiano nelle corti della statale. 
Si attardano nelle strade, nei larghi, sotto i ponti della città. Scaldano il cuore di tutti quelli che incontrano. Abbracciano con affetto tutta Milano, e soprattutto noi tutti che siamo lì, a ricordarci come si sogna.


Ci si poteva perdere questa sera, negli occhi di ognuno dei sessantamila che saltavano a San Siro, ognuno con la propria vita, le proprie gioie, il proprio passato, i propri demoni, lasciati fuori dallo stadio, a marcire e qualcuno a morire, almeno per stasera.
E stasera fanculo a chi dice che sono un sognatore, fanculo a chi mi dice di non illudermi e di stare con i piedi per terra. Fanculo a chi non crede mai a nulla. Fanculo a chi butta via quello che trova di buono e poi si lamenta. Fanculo a chi ascolta la musica bassa. Fanculo a chi non rischia. Fanculo a chi ha paura. Fanculo a chi rinuncia. Fanculo a chi non salta. Fanculo a chi non sorride. Fanculo a chi non sa amare.
Urla il boss, e salta, guardiano e ammiraglio dei sogni di tutti i sessantamila intorno a me, salpati alla volta della propria terra promessa, a stanare, da qualche parte laggiù, finalmente, la felicità, e a strapparla via con tutte le forze, senza arrendersi mai, anche quando davanti ci sono difficoltà, anni, chilometri e fatica.
Perché il boss, e quelli che lo ascoltano, sono fatti così, sono nati per correre.
Stasera si va di solo cuore. 
Da oggi si vive solo così.
Perché poi è questo che mi ha insegnato il boss, trovare sempre e comunque le forze per suonare ancora una canzone…