mercoledì 19 giugno 2013

La Nostra Decrescita Serena

E come di consueto inizio il mio settimanale viaggio mentale a ruota libera. Oggi mi improvviso sociologo. Ma mi improvviso davvero, perché le mie competenze in materia latitano. Parto, seguitemi eh…


Nelle ultime settimane è’ avvenuta una piccola grande rivoluzione nel mondo della musica, in particolare in quel ramo estremamente contemporaneo che è la musica elettronica: è uscito il nuovo album dei Daft Punk, Random Access Memories. Un disco che può essere considerato una sperimentazione in un mondo (quello della musica elettronica) che, a detta degli stessi Daft Punk, non si muove di un centimetro dai suoi canoni ben definiti. Un piccolo capolavoro che per innovazione stilistica e punto di svolta mi sento di paragonare non lo so, al taglio nella tela di Fontana, o ad Avatar di James Cameron. Il disco, oltre ad essere spettacolare, segna una rivoluzione perché i Daft Punk hanno composto l’album limitando al massimo i suoni prodotti al computer ed invitando a suonare con loro musicisti veri, reali. “ora abbiamo deciso di fare con musicisti veri quello che prima facevamo con macchine e campionatori”. Hanno lasciato alle spalle il loro concept di suoni, se pur belli e apprezzati dal anche dal sottoscritto, non credo tanto per un mero esercizio di stile, quanto più per assecondare una tendenza, che non è presente solo in musica, ma nella società tutta, di ritornare alle origini, di riappropriarsi dell’essenza delle cose, della voce, degli strumenti. “volevamo rendere le voci robotiche il più reale possibile”.

Questa tendenza, a me pare di vederla crescere di giorno in giorno nel mondo occidentale. Esiste un trattato di un economista francese di nome Serge Latouche che illustra il fenomeno della decrescita serena. Cito spudoratamente: 
"La decrescita si vuole semplicemente contrapporre alla crescita in modo da «far esplodere l’ipocrisia dei drogati del produttivismo». In questo nome si vuole sottolineare la necessità dell’abbandono del sistema della crescita illimitata, che punta solo al profitto e con conseguenze disastrose per l’ambiente e per l’umanità.
La decrescita è un programma politico e il suo piano è il circolo delle 8 R che rappresentano otto obiettivi interdipendenti, che se realizzati, possono innescare un processo di decrescita serena, conviviale e sostenibile:
Rivalutare. I valori sono diventati vuoti simulacri, sostituiti da megalomania individuale, egoismo e rifiuto della morale. Occorre rivendicare valori come l’altruismo, la collaborazione, il piacere, il locale.
Riconcettualizzare. La mancanza di valori dà luogo ad una visione diversa del mondo. Occorre ridefinire concetti come la ricchezza/povertà, la rarità/abbondanza distinguendo gli elementi reali da quelli di creazione artificiale.
Ristrutturare. Adeguare l’apparato produttivo e i rapporti sociali al cambiamento dei valori.
Ridistribuire. La ridistribuzione delle ricchezze e delle risorse ha un effetto positivo sulla riduzione del consumo, per due fattori: ridimensionamento del potere dei consumi del Nord e diminuzione dello stimolo al consumo vistoso.
Rilocalizzare. Segue il principio del “think global, act local” per il quale occorre produrre in massima parte a livello locale i prodotti necessari ai bisogni delle popolazioni.
Ridurre. Ridurre non significa necessariamente tornare indietro. Significa limitare/eliminare il sovraconsumo ed abbattere gli sprechi. La riduzione non coinvolge solo le risorse, ma anche aspetti sociali come il tempo dedicato al lavoro.
Riutilizzare/Riciclare. è necessario ridurre lo spreco, combattere l’obsolescenza delle attrezzature e riciclare rifiuti non riutilizzabili."

Mi rendo conto che il paragone tra Latouche e i Duft Punk sia quantomeno azzardato. Il punto d’incontro tra loro, io credo, sta nella tendenza verso cui sta andando (o dovrebbe andare) il mondo: un ritorno al passato, o meglio, al buono che c’era nel passato con la consapevolezza che il presente non sia tutto marcio e che determinate nostre abitudini siano ormai, per fortuna, irreversibili. Non potremmo vivere oggi, senza elettricità, senza computer, senza cellulari. Senza Studio Aperto!!, no scherzo, senza studio aperto riusciremmo eccome. E chi ora sta pensando che non avrebbe problemi a vivere senza queste comodità, secondo me mente a se stesso. Non gli credo. Il mondo per come è costruito dipende troppo ormai da determinati frutti del progresso, ma non per questo dobbiamo farne un uso indiscriminato o abusarne. L’avvento di internet, del concetto di globalizzazione, di villaggio globale, il progresso digitale diciamo, è arrivato ad una velocità folle e, inesorabilmente, siamo stati sommersi dalla parte negativa di queste straordinarie invenzioni, molto più facile da cogliere a livello superficiale. Col tempo, la fatica e la passione di chi ha intuito le potenzialità e gli aspetti positivi di internet, stanno facendo in modo che lo strumento venga usato sempre più per i giusti scopi. Creare opportunità, traghettare informazioni per il mondo, propagare conoscenza, connettere, a diversi livelli e in diversi ambiti.


Per scrivere la parola “crisi” in cinese, si utilizzano due ideogrammi, il primo si traduce con “minaccia”, “pericolo”, il secondo con “opportunità”. L’opportunità che ci ha regalato la crisi è quella di rivedere le fondamenta del nostro stile di vita e capire che, la qualità della nostra vita e di chi verrà dopo di noi, deve essere il fine ultimo e che per arrivare a questo il modello al quale siamo stati abituati è sbagliato ed inadeguato. 
Lavoriamo, produciamo, costruiamo, occupiamo, deforestiamo, il tutto senza sosta e criterio, ma per cosa alla fine? Ci ammaliamo per guadagnare un sacco di soldi che useremo poi per curarci. Tutto questo, non regge. 
Io non lo so se i Daft Punk l’abbiano capito, ma sanno leggere la contemporaneità come pochi, e secondo me, qualcosa hanno colto. Gli artisti fanno così, da sempre, ne ho già parlato, ed in questo sta il loro merito e la loro genialità (di alcuni ovviamente), nel saper leggere il tempo in cui vivono e tradurlo in quello che fanno, tradurlo in arte, di qualsiasi genere sia.

Negli ultimi anni sono nate comunità per combattere la dipendenza dai social network. Sono aumentate le autoproduzioni, la gente tende a cercare lavori più artigianali e gratificanti. In cucina c’è una progressiva rivisitazione dei piatti tipici, della tradizione povera, in chiave contemporanea. Il prossimo passo da fare sta nelle relazioni tra la gente. Io credo che anche la mia generazione di nativi digitali stia iniziando a comprendere quanto la tecnologia stia fuorviando i rapporti tra le persone. 
Alcuni di noi sentono la necessità di (ri)appropriarsi della spontaneità di conoscere una persona mostrando la propria personalità, il proprio volto, e non l’immagine del profilo, vedere sorrisi che crescono, divampano, o che solo vengono accennati sulle labbra. In chat tutti sorridono allo stesso modo. Analizzare le micro espressioni del volto di una persona. Assaporare il tono della voce. Troppe cose si perdono tra le righe di un sms. Troppe cose rimangono inespresse, rimangono assopite. 
La bellezza dell’ascoltare, e del parlare con calma, argomentando, senza che ti venga la tendinite a scrivere veloce. Le pause della voce. Le cose non dette. Lo sguardo. Il contatto. Il profumo. 
Credo che ogni tanto, certe cose debbano andare un po’ più piano. Il mondo, ultimamente, è andato forse troppo veloce, facendoci dimenticare l’importanza delle cose vere, delle cose semplici, delle cose autentiche.
C’è un tempo per correre, per andare veloci, e uno per fermarsi un attimo a pensare. C’è un tempo per puntare più in alto che si possa, e uno per essere felici di quello che si ha. Un tempo per aver paura, e uno per rischiare. 
Quello che non ci deve essere mai è il tempo per rinunciare. 
Quello che deve esserci sempre è la possibilità di scegliere, di essere liberi, non costretti, a fare o ad essere, senza precludersi nulla perché talvolta, quello che si cerca lo si trova solo dietro a quella porta che non ci si aspetta…