lunedì 16 dicembre 2013

I miti che rimangono


Alberto Korda è un nome che a molti non dirà nulla di che.
E’ un fotografo del secolo scorso, morto a Parigi nel 2001 e sepolto a L’Havana, Cuba. Alberto è diventato celebre per un’opera in particolare, una fotografia scattata il 4 marzo 1960 chiamata: “Guerrillero Heroico”.
Anche chi non ha mai sentito nominare Korda, sicuramente conosce questo scatto, è la foto più famosa di Ernesto Guevara de la Serna, in arte “El Che”, la foto diventata l’icona della sua storia e forse di tutte le sinistre del mondo anche se, il più delle volte, utilizzata a sproposito e senza che si meritassero di appropriarsene.
Lo sguardo del Che in quella foto fu motivo di speranza e d’ispirazione per tutti i movimenti giovanili del ’68, fu un simbolo da utilizzare come monito contro i regimi totalitari, prima, del resto, che la stessa Cuba diventasse essa stessa un regime, ma questa è un’altra storia di cui un giorno parlerò.
La foto fu pubblicata qualche anno dopo lo scatto, dapprima come poster e successivamente come copertina dei “Diari del Che in Bolivia”, i diari che raccontano i giorni dell’ultima avventura della sua vita, quella che lo condusse alla morte. 


Quando partì per la Bolivia Ernesto Guevara era appena tornato a Cuba dopo la fallimentare spedizione in Africa. Cuba era diventata casa sua dopo che lui stesso aveva contribuito in prima linea a liberare l’isola durante la rivoluzione guidata da Fidel Castro, che rovesciò il regime filo americano guidato da Batista. Successivamente diventò ministro dell’industria, fino a quando decise che avrebbe speso il resto della sua vita come rivoluzionario e non come politico.
A quel tempo, le storie sul Che iniziavano a circolare per il mondo, nonostante allora non ci fossero i mezzi di comunicazione di cui oggi disponiamo, in molte parti del mondo si venne a sapere del medico argentino diventato comandante nella rivoluzione, si conobbe il suo modo di fare, la sua integrità morale di ferro, e i suoi dogmi, tra cui la convinzione di dover sempre far proseguire alle parole pronunciate i fatti concreti.
Fu per questo motivo che, nonostante la guerra a Cuba fu vinta, Ernesto partì alla volta della Bolivia, anch’essa governata da regimi imperialisti filo americani che seminavano povertà e miseria, per cercare di accendere un primo focolaio di guerriglia che avrebbe dovuto espandersi nell’intero continente perseguendo il sogno del Che, la famosa utopia che prevedeva la ribellione e la successiva unificazione dell’intera America latina. La cordigliera delle Ande, sarebbe dovuta diventare una versione più grande e potente della Sierra Maestra cubana.
Ma la spedizione boliviana non ebbe la stessa fortuna di quella cubana. Dopo circa undici mesi di guerriglia le armate boliviane, con l’appoggio della CIA e corrompendo i contadini boliviani che, a differenza di quelli cubani della Sierra Maestra, tradirono i rivoluzionari, riuscirono a catturare i ribelli rimasti vivi, tra cui, lo stesso Che Guevara, stremato dalla fame, dalla fatica e dalla sua solita asma. 
Dopo qualche ora di prigionia e di interrogatori condotti dall’agente cubano della CIA Felix Rodriguez, in cui il Che rispose alle domande con un atteggiamento di sfida prefigurando la futura vittoria della rivoluzione, un agente ricevette l’ordine di fare fuoco ed Ernesto Che Guevara morì, giustiziato da una raffica, anche se, ormai, il mito del Che era conosciuto da tutti e la sua icona era destinata a diventare immortale. Inutili furono i tentativi dei suoi carnefici di disperderne i resti in una fossa comune per fare in modo di non creare una tomba sulla quale si sarebbero riversati centinaia di migliaia di pellegrini. Perché riuscirono certamente ad uccidere l’uomo, ma le sue gesta erano diventate ormai il simbolo da usare come monito verso tutti i regimi del mondo. 
I militari che giustiziarono il Che dichiararono di aver cremato il corpo, e solo nel 1995 si riuscì a scoprire i resti del Che in Bolivia e a portarli a Cuba dove ora riposano in un mausoleo, costruito a Santa Clara, la città che cinquant’anni prima venne liberata proprio dal Che mettendo, di fatto, sotto scacco l’esercito cubano e ponendo le basi per la vittoria finale della rivoluzione.
Anche Guccini racconta in alcune sue canzoni di come il ’68 italiano accolse la notizia della morte del Che e di come subito, capirono che la morte dell’uomo aveva immediatamente permesso la nascita del mito, che la foto di Korda, contribuì ad accrescere. Korda non  prese un soldo per lo scatto, intraprese solo una causa legale contro una ditta che produceva vodka, in Russia, molti anni dopo, che utilizzava l’immagine del Che per pubblicizzare il prodotto (come si fa tutt’oggi con tazze, portachiavi e altre stronzate). Korda patteggiò con l’azienda russa, la quale fu costretta all’esborso di cinquantamila dollari che il fotografo utilizzò per acquistare medicinali per i bambini cubani.

Pochi giorni fa è scomparso Nelson Mandela, e la sensazione di essere in un momento che i libri di storia ricorderanno io l’ho avuta. Perché anche questa volta muore si un uomo, il cuore smette di battere, il corpo svanisce, ma i suoi insegnamenti, le sue azioni, quelle sono destinate ad essere immortali. Muore l’uomo, rimane il simbolo di una lotta contro le differenze di razza, contro l’ingiustizia e la sopraffazione del più forte, contro i privilegi di pochi. Non mi dilungo, perché tanto è storia nota. 
Ma la cosa che importa è che, personaggi come Mandela, come Gandhi, come il Che, non si potranno mai distruggere, con la speranza che ci accompagneranno in ogni decisione che dovremo prendere in futuro, anche e soprattutto nel nostro piccolo, perché il potere della loro figura ha sconfitto anche la morte.
E  come accaduto per il Che, ci rimane qualche immagine mitica destinata ad alimentare in futuro il suo ricordo. Mi piace l’immagine di Mandela, vecchio, il giorno in cui fece ritorno nel carcere dove era stato rinchiuso per anni, all’interno della sua vecchia cella, con il braccio appoggiato alla finestra e lo sguardo che si perde, non fuori, ma oltre, oltre le sbarre, oltre il dolore, oltre il presente, proiettato verso un futuro e un mondo migliore.


Della scomparsa di Nelson Mandela non ricorderò frasi scritte a caso sui social network o servizi commemorativi alla tv, ricorderò solo i banchi del Sudafrica all'artigiano in fiera di Milano, tutti con la sua foto esposta, alcuni con una frase appesa, e gli occhi di chi vi lavorava pieni di gratitudine verso chi gli aveva salvati e gli aveva regalato una vita più dignitosa, quello sguardo, irrimediabilmente triste, ma distintamente orgoglioso.


Nessun commento:

Posta un commento

Cosa ne pensi?