È come un giorno d'allegrezza pieno,
Giorno chiaro, sereno,
Che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
Stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.
G. Leopardi
Di tutte le
date che compongono l’anno solare, il 7 dicembre rimane una delle mie
preferite.
La stessa
ammirazione la nutro per il 23 e il 24, sempre di dicembre, il 13 gennaio, una
data di luglio che varia ogni anno, e il mese di maggio, tutto. La cosa che
hanno in comune questi giorni è che sono tutti l’inizio di uno dei periodi
prima di qualcosa, uno dei periodi che anticipano qualche evento. Il 13 gennaio
è il giorno prima del mio compleanno, la data variabile di luglio è quella in
cui inizia la settimana prima di partite per un viaggio, il mese di maggio è il
preludio dell’estate, in generale, il 23 dicembre la vigilia di natale, il 24
dicembre, la mattina di natale.
Il 7
dicembre, è il giorno prima dell’avvento, cioè, del periodo di attesa per
antonomasia, un’apoteosi irresistibile per me, intanto perché dura
tre settimane, e poi perché è un sensualissimo periodo che in un modo o nell’altro
tutti sentono e non lascia indifferente quasi nessuno.
Succede da
sempre, o almeno da quando compravo il famoso calendario con il cioccolato
dentro, che questo periodo ha su di me un’alone meraviglioso che, nonostante
passino i tempi, ogni anno mi sorprende per quanto rimanga uguale e abbia sempre
e comunque lo stesso effetto.
Le vetrine
dei negozi si colorano di rosso ed agrifoglio, anche se il più delle volte
quello che davvero punge sono i prezzi che espongono. Il fermento, per le
strade, di chi non sa cosa regalare, come se si dovesse regalare per forza
qualcosa, i ritardatari cronici, presi dal panico, spingono in coda alla cassa.
Tutto si addobba, si colora. Pentolini di cioccolata sui fornelli, film di
natale, ad addolcirci dentro e tentare di scaldarci. Prove di tacchino al
forno, che se viene bene a natale lo facciamo. Il profumo dei mandarini. La frutta
secca. Preparativi per la festa, chissà quest’anno come sarà bella, più bella
che mai, sicuramente dev’esserlo più dell’anno scorso. La gente che si
telefona, non si sentiva da mesi, dobbiamo vederci assolutamente prima di
natale, per scambiarci i regali, o almeno per dire due cazzate. Il prete del
paese che prova e riprova l’omelia della messa di mezzanotte, scrive, cancella,
ripete, non funziona, cancella, da capo. I bambini che aspettano con infinita
impazienza di scartare i regali che giorno dopo giorno pregustano.
A maggio
invece, le piante si sono appena riempite di germogli, ed alcune già di piccole
foglie decise a crescere, ad essere pronte in tempo per l’inizio dell’estate. Le
giornate diventano estremamente più lunghe, repentine, invogliandoci a cogliere
un piccolo antipasto di quello che a breve sarà. Servitevi pure. Si organizzano
definitivamente le vacanze, non si può più temporeggiare, c’è da prendere una
decisione, non vedo l’ora di partire. Non vedo l’ora che arrivi l’estate, che
se ne vada del tutto questo freddo.
Poi arriva
la settimana prima di partire per un viaggio, non c’è pronto un cazzo,
ovviamente, al solito. Valigia, itinerario, passaporti, documenti, ultimi
acquisti. Ho bisogno di un costume nuovo. Anche gli occhiali da sole è ora di
cambiarli. Una settimana e saremo sulla strada, già sento il profumo del vento.
Già lo immagino.
La bellezza
dell’attesa, non tutti riescono ad apprezzarla e a considerarla un valore,
anzi, talvolta sono i periodi che non si vede l’ora che finiscano. In realtà è
una bellezza molto fine e parecchio sottile. Un piacere strano. Un singolare
sollazzo. Un’affascinante autoimposizione.
Perché l’attesa,
come ho scritto, è piena di meravigliosi attimi dei quali nutrirsi e riempirsi.
Da piccolo
passavo metà dell’anno ad aspettare l’estate, e l’altra metà ad attendere
Natale. Vivevo soltanto periodi d’attesa, due lunghissime maratone immaginarie
che ciclicamente si ripetevano e cullavano tra loro rari periodi di riposo. E
al di là di quello che possa pensare qualcuno, era bellissimo.
Perché in
realtà, ho sempre avuto una propensione ad apprezzare le cose prima che
accadessero, lo spazio di attesa per arrivare a qualcosa, l’attimo, subito
prima della felicità. La ricerca dell’amore, tante volte molto più
soddisfacente dell’amore stesso.
Questo perché
nella vita serve un fine, uno scopo, un obiettivo. Avere un fine presuppone
avere un periodo di attesa per arrivarci.
La consapevolezza
di sapere che arriverà sempre qualcosa di bello, di nuovo, è estremamente
rassicurante. Eterni obiettivi, sempre qualcosa da cercare e da aspettare.
La cosa
bella dell’attesa poi, è che si inizia ad immaginare ciò che si aspetta, lo si
costruisce, si inizia a viverlo nella propria mente. Lo si assapora un poco. Tanto
che quel momento diventa esattamente come lo vorresti.
I periodi di
attesa sono i periodi più belli dell’anno, nonché i periodi migliori della vita.
La giovinezza, quando si immagina che persone saremo nel futuro, quando ci si
può permettere il lusso di immaginare di diventare chiunque si voglia
diventare, di vivere qualsiasi vita si voglia vivere.
Anche perché
a pensarci bene nella vita di tutti i giorni si aspettano un sacco di cose,
talvolta anche persone, situazioni, e se non si fa in modo di rendere piacevoli
anche questi momenti, rischiamo di godere soltanto pochissimi momenti dell’anno
dove succede veramente qualcosa, poche gocce in un mare smisurato. E se poi Godot
non arrivasse mai?
In definitiva,
l’attesa, è quello stato di piacere immenso in cui ci si può permettere di
esser sereni perché semplicemente ciò che aspettiamo è ancora ben lontano dal
concludersi, lo si può immaginare ancora per molto tempo, si può anche
immaginare per un attimo che sia infinito, sapendo che quando finalmente, o
purtroppo, arriverà, avremo paura che in un lampo svanisca.
Ciò che
veramente ci tiene vivi, è la consapevolezza che domani possa essere un giorno
ancora più bello, ed anche se Godot non arriverà mai, io, nel mentre, mi sarò
divertito da morire.
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