martedì 10 settembre 2013

Il Metodo Cantù


Finalmente è arrivato un temporale, dopo giorni che lo annunciano e mai arriva. "Ce lo fanno nasare"....
Ho presentato la domanda di ammissione alla specialistica, con annesso certificato che attesta che conosco la lingua inglese. 
La prova che non tutto ciò che è nero su bianco sia vangelo. Un po' come certi giornali che abbiamo in Italia del resto. Un po’ come questo blog. Un po’ come questo post.
Durante il test mi è tornato in mente un mio vecchio compagno di classe che aveva escogitato (spero anche brevettato) un metodo per passare qualsiasi esame a crocette o a risposta multipla. 
Ci ha campato per 5 anni, il grande Cantù.
L'ho usato nel momento in cui il panico stava iniziando a prendere il sopravvento, durante la listening, momenti drammatici, quando ho capito che forse, prepararmi all’esame “ascoltando un sacco di canzoni in inglese” non sia stata proprio la scelta più furba della mia vita.
Ma in quei casi, il metodo Cantù entra in gioco prepotente a toglierti dalle situazioni di naufragio nel mare di merda. 
Metto una A, poi un'altra A (ne mettono due di fila per confonderti) poi la B non è di certo, non mettono la lettera dopo, nemmeno la D che é l'ultima. È per forza la C. E così via. Giochi di astuzie tramandate oralmente e conosciute solo da pochi eletti.
Mi chiamano dopo qualche giorno comunicandomi che ho superato il test. Mi prende per il culo?
Grazie Cantù. Ma chi ci sperava?!.
E’ incredibile come certe cose vadano a posto da sole, nonostante tutti i miei tentativi di sabotarle. 
Forse chissà che ogni tanto capita di raccogliere quello che si semina. Forse non sono poi un grande sabotatore.

Ho ordinato su internet il poster (famosissimo) con un U.F.O in primo piano, un bosco sullo sfondo e la scritta “I want to believe”. Quello degli alieni. Lo voglio mettere in camera, dietro alla porta, così lo leggo tutti i giorni quando mi sveglio. Un po’ perché in effetti voglio credere agli alieni, altrimenti che cazzo ho guardato a fare per anni decine di servizi di voyager sui cerchi nel grano? E poi anche perché ho ancora bisogno di credere in qualcosa.
Qualche illuminazione ogni tanto arriva, come sempre inaspettata. Ti svegli un mattino e certe cose che ti hanno dilaniato l’anima fino al giorno prima ti sembrano inaspettatamente chiare ed estremamente facili da decifrare. Come decidere non tanto cosa mi interessa nella vita, ma piuttosto di cosa non me ne frega niente, che forse è molto più facile. Definito cosa non vuoi il campo si restringe per cercare quello che vuoi, o quantomeno al massimo cadi in piedi. Me la sono raccontata così. 
Oppure capire che non ho nessun obbligo morale verso le persone che non sono chiare con me e se ne approfittano un po’ troppo. 
Altri giorni invece è tutto un accavallarsi di idee, le une sulle altre, che mi fanno rimanere rincoglionito. Quanto vorrei che l’estasi creativa scacciasse via la pigrizia di non fare nulla. Anche se una volta mi hanno detto che la creatività, se la nomini, svanisce.
Nella pigrizia programmo viaggi che farò, a breve e non. Viaggi in grado di colmare qualsiasi vuoto capiti. Perché i vuoti ogni tanto ci sono, piano piano li sto riempiendo. Anche se alcuni sono davvero difficili da colmare.  Sono convinto che ognuno di noi stia aspettando qualcuno, o magari qualcuno sta aspettando noi. Quello che non voglio è avere a fianco persone che invece i loro vuoti non gli riempiono mai, non ci provano nemmeno, vuoti a perdere e non a rendere.
Nei periodi come questo amo sempre di più il cinema e i film, mi ci rifugio dentro, mi innamoro dei personaggi, al punto che mi sembra di conoscerli come conosco i miei amici. 
Li sogno di notte talvolta. Ma robe strane, non so, che vado a prendermi un gelato con Marty McFly, o che sono sposato con Beatrix Kiddo (la bionda di Kill Bill, per intenderci) che si incazza con me perché non ho voglia di andare domenica a pranzo dalla suocera (che poi mica era orfana?). Il culmine è stato tre notti fa quando Ben Parker di Spiderman mi dice: “Da un grande potere derivano grandi responsabilità” e io che rispondo “Si ma a farsi i cazzi propri si campa cent’anni”.
Si va avanti senza metodo, senza strategia, senza le istruzioni per l’uso, cercando di trovare il bandolo della matassa. E per fare questo ci si arrangia, si usa l’improvvisazione, un po’ come negli esami d’inglese insomma. Aspettando che qualcosa succeda, o io la faccia succedere forse. Sperando solo di arrivarci preparato per una volta, mica da dovermi mettere ad usare il metodo Cantù pure nella vita. 
Che poi in fin dei conti aveva ragione lui, alla fine, è tutto soltanto questione di culo.

http://www.youtube.com/watch?v=gZ4PGDJb7p4

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