martedì 21 maggio 2013

La Teoria di Johnny B. Goode


Questo post fa schifo. Vi avviso.
Fa schifo perché è una raccolta di riflessioni che ho da un po’ di tempo ma non sono ancora riuscito a declinare bene nella mia mente, per cui, provo a scriverle, che chissà mai.

Allora.
Ogni mese compro il Rolling Stone. Non lo prendo ad inizio mese, mai, sempre a metà o addirittura alla fine, quando è già scaduto, quando prende già le sembianze di una piccola reliquia. Non c’è un motivo in particolare, è una mia fissa. E non ho l’abbonamento, lo compro tutti i mesi in edicola. Non l’ho mai amato l’abbonamento, forse perché non voglio privarmi dell’immenso piacere narcisista di entrare e dire: “salve, rolling stone, grazie”. 
Abbonamento 29 euro l’anno mi pare, comprarlo tutti i mesi circa 42. La cazzata narcisista mi costa 13 euro l’anno. Ci sta dai. Ho fatto cazzate molto più costose, mi giustifico così. Tant’è che sto mese, sfogliando come mio solito le pagine finali in cui compaiono le recensioni dei nuovi dischi mi imbatto nel nuovo album dei !!!, (si legge shk, shk, shk o bam bam bam, o tum tum tum o come volete). Gruppo che era tremendamente in voga nel mondo di metà degli anni ’00, il mondo post torri gemelle, quello dei primi viaggi low cost… dai, quello della testata di Zidane, per intenderci. Leggendo la recensione di un ottimo Emiliano Colasanti, non ho potuto non percepire una sorta di responsabile e dignitosa nostalgia nelle sue parole. Parlando del nuovo album comparato allo storico Louden Up Now dice: “e bisogna dirlo, quei !!! battono questi !!!. Anche noi, d’altronde, eravamo più giovani, ballavamo meglio e credevamo di avere un futuro radioso alla nostra portata. E siamo ancora gli stessi, chiaro, ma di certo giù in strada c’è qualche ragazzino che potrebbe farci venire qualche complesso d’inferiorità, e avrebbe anche ragione. Noi però eravamo al posto giusto nel momento giusto, come i !!! di allora, e questo non potrà togliercelo davvero nessuno.

Qualche sabato fa ho provato la stessa sensazione. Me ne stavo lì, a vedere gli EIFFEL 65 suonare sul palco del Nautilus, stupendi, a saltare su quelle basi anni ’90, mitici, catapultato letteralmente in ricordi di scuole medie, di apparecchi per i denti, di giornalini scolastici, di prime cotte e pensavo quanto appunto sapessero di quelli anni, di nokia 3310, di accendini ai concerti, di mucca pazza…
"Viaggia insieme e me io ti guiderò, e tutto ciò che so te lo insegnerò, finchè arriverà, il giorno in cui, tu riuscirai a fare a meno di me"
Sapevano anche loro, che prima o poi, quel giorno sarebbe arrivato.

Monet e gli impressionisti sono stati fra i primi a dipingere nelle loro opere i treni, se ne stavano sullo sfondo dei loro paesaggi, molte volte, senza far troppo rumore. Veniva dipinto il loro carattere romantico. Era come se li menzionassero, i treni, nelle loro opere, li dipingevano perché avevano intuito la novità, la genialità forse, di quella incredibile invenzione. Correva anche allora la vita, ma più piano, e anche il mondo, da quel momento visto da un finestrino, sfuocato, su quei treni, veloci, e quelle prime locomotive partite a rigare il mondo e a sfrecciare verso un futuro che erano destinate a cambiare per sempre, e gli impressionisti, lo sapevano, senza che sapessero probabilmente come. Diverso invece, era l’approccio futurista. Alla società tutta, ma se ne potrebbe scrivere per chilometri, quindi rimaniamo ai treni. Essi ne sottolineavano l’aspetto meccanico, materico, legato alla velocità, alla frenesia che c’era nel primo novecento. Dovevano in qualche modo rappresentare artisticamente il loro fermento, la velocità alla quale il mondo stavo andando, in ogni direzione, non più visto dal treno, ma sul treno forse, e la difficoltà che aveva l’uomo a starvi dietro.  

                                          Pioggia, vapore e velocità - W. Turner - 1844
                                          Dinamismo di un treno - Luigi Russolo - 1912

Ok, smetto di stronzeggiare e provo ad arrivare al punto.
Tutti noi, io credo, abbiamo un estremo bisogno di essere contemporanei. Da sempre. E’ sempre stato così, e sempre lo sarà.
Abbiamo bisogno di sentirci nel posto giusto, nel momento giusto, nell’età giusta, nel tempo giusto. Di sentirci a ritmo. Di sentire che il mondo vada alla nostra velocità, o noi a quella del mondo. Ma più di ogni altra cosa, io credo, abbiamo un terribile bisogno di avere e riconoscere una testimonianza del nostro passaggio, della nostra vita su questa terra, che sia tramandata, che sia cantata, suonata, scritta, scolpita, disegnata, costruita, sputata, recitata, filmata, cucinata, sognata, o anche solo sussurrata, non importa, è sufficiente che ci sia e che venga ricordata, da tutti, ma soprattutto da noi che l’abbiamo vissuta. Di sapere di esserci stati e di identificarci in un tempo storico ben preciso, che per funzionare veramente, non può che essere quello in cui viviamo. E per fare ciò, lo dobbiamo vivere nel modo giusto, perché c’è un tempo per qualsiasi età, e la contemporaneità, corre ad una velocità precisa, e per sentirci parte di essa non si deve andare ne troppo veloci ne troppo lenti. E’ un equilibrio sottile, che molte volte si rompe, senza che ci si accorga. E’ un equilibrio che impone di vivere a pieno la propria età, di accettarla con il proprio pacchetto di vantaggi e svantaggi purchè la si viva nel modo giusto.
La verità è che gli anni passano senza che nemmeno ci si renda conto, corrono, i giorni, uno dopo l’altro, maratoneti inarrestabili, e di colpo, ti alzi un mattino e ti accorgi che gli eiffel 65 non li passano più alla radio, che la sigaretta fumata la sera prima non aveva per nulla il sapore della prima a sedici anni, ti accorgi a volte, di essere scaduto, come un cibo tenuto per troppo tempo in frigorifero, e per quanto tu ti opponga, vieni trascinato in quel fiume impetuoso e variegato che è il mondo, spinto da correnti di contemporaneità, e se non sai nuotare bene, vieni trascinato senza goderti nulla del tempo in cui vivi. E basta un soffio perché sia troppo tardi. Badate bene, non è questione di seguire la moda, affatto, è questione di vivere a pieno, e non è per nulla facile scegliere luoghi, persone, artisti, film, dischi, fotografie, quadri che rappresentino in maniera appropriata il senso esatto del tempo, e poi ancora, legarli all’età adeguata, e quindi scegliere ancora persone, attimi, esperienze, idee, sogni. Ci si confonde molto spesso, non c'è una logica matematica. E’ sfiancante.
Ci aggrappiamo a quello che il tempo in cui viviamo fa nascere, è inevitabile, e in fin dei conti penso che sia giusto così. E non si può far nulla per cambiare le cose se non crogiolarsi in una nostalgia carogna che ogni tanto fa scendere una lacrima di ricordi nei quali però, non si può vivere, ma è un attimo annegarci. Bisogna stare attenti.
E forse, in ultima analisi, forse, e dico forse, questo è il vero motivo per cui amiamo l’arte, per cui talvolta non la capiamo e per cui non riusciamo a farne a meno. L’arte, di qualunque genera sia, è il modo che abbiamo tutti noi per imprimere nella storia il nostro passaggio, il nostro vivere e il nostro aspirare.
Forse perché in definitiva, la paura più grande che abbiamo, è solo quella di essere dimenticati.


p.s. 1_Chiedo scusa per aver riassunto a mo’ di bigino fatto male un secolo di arte parlando di impressionismo e futurismo.

p.s 2_ Questi sono i veri !!!

p.s 3_ Devo ancora decidere se quello che ho scritto abbia davvero un senso. Sono orientato sul no, per ora.  Se qualcuno ci ha capito qualcosa mi faccia un fischio, e provi a spiegarmelo.
Nel frattempo, fatemi il piacere di alzare il volume e guardarvi questa scena. Qui è condensato tutto quello che ho provato a scrivere, nonché il motivo per cui la mia, è la teoria di Johnny B. Goode:

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