giovedì 9 maggio 2013

Il Tandem della Bovisa



Suona la sveglia alle 8, e subito penso che, fino all’anno scorso, a quest’ora, ero in treno già da un quarto d’ora buono, quand’era puntuale. Ma ora, me la prendo comoda, che di orari, e lezioni e impegni non ne ho poi molti. Ho tempo anche di fare colazione, la prima, delle dieci che farò stamattina. Una a casa, due al bar da me, e poi anche dopo, roba che a pranzo arrivo che non ho nemmeno fame. Prendo il treno alle nove, quello che quando lo prendevo l’anno scorso mi sentivo già in ritardo. Che facendo così, arrivo in stazione a bovisa che son già le dieci e mezza, non propriamente all’alba diciamo. Si aprono le porte della stazione e di fronte c’è un bivio, umano, arcigno, letale. Andando a destra, capita di imbattersi nella facoltà di ingegneria, che, se fiutano per sbaglio che fai architettura, potresti venire legato in qualche laboratorio sotterraneo e torturato da qualche omino rachitico che, dopo averti messo una camicia di forza e averti scocciato le palpebre per obbligarti a guardare a mo’ di arancia meccanica ti propinerebbe teoremi lunghi da qui a Bologna, teorie del caos, e regole della mano destra, spiegate con la mano sinistra, per confonderti. Un incubo.

Andando invece a sinistra, oltrepassata la piazza, o il parcheggio, si arriva nel cuore pulsante della bovisa. Ed è tutto un fermento, gente che salta, capicolla, strabuzza. Allegria contagiosa per le strade, studenti che corrono a stampare, ragazze sciatte che hanno fatto la notte su autocad, ragazze, truccatissime, che forse la notte non l’han fatta proprio su autocad. Dscorsi distesi, battute. Personaggi strani, da libri, da film, da fantasia.
Un saluto veloce al copying , dove per anni ho stampato qualsiasi tavola abbia pensato, C’è una stampante ormai, collegata alla mia testa, non gli do nemmeno più la chiavetta. Luogo che, nel periodo delle consegne faresti prima a metterci una brandina dentro e stare lì e il loro numero di telefono lo componi schiacciando due volte il verde sul cellulare. Fidi scudieri di mille battaglie.
Che si, è vero, son già le dieci e mezza, ma un cappuccio al bluespot devi prenderlo per forza. Lo si incontra sulla destra, il bluespot, da fuori è una festa, per le orecchie, con quel blues, sempre alto, che ti abbraccia le mattine, ti scalda la pancia, che come un lazo ti acchiappa, dal marciapiede, e ti trascina dentro, mentre di corsa improvvisi uno slalom gigante, tra studenti e motorini. Un bancone, i muri blu, pochi tavoli, e Germano, che dispensa allegria e buon umore, anche nelle mattine che pensi sia impossibile trovarlo da qualsiasi parte. Il quantitativo di caffè che ordini è direttamente proporzionale al grado di difficoltà della notte appena trascorsa. Il giorno del’esame di meccanica ne ordinerò un bidet, di caffè. E le mattine in cui va tutto storto, ordini il tandem della bovisa, la brioches mezza panna e mezza cioccolato, creata appositamente per fanculizzare i problemi. Un antidoto alle rotture di palle. Gliel’ho detto ad una ragazza, una volta, sei bella come un tandem della bovisa. Non ha capito che era un complimento, rimase un po’ basita, perplessa, come darle torto. 
All’ingresso dell’università un cordone umano di gente che ti propina inviti per feste, palestre, rave, ristoranti, mostre, matrimoni, lezioni, conferenze, biblioteche, aperitivi, eventi, o un invito a casa loro, semplicemente. E poi loro, che urlano: “lotta comunista”, “la lotta”, “un euro per la lotta”, magari costasse solo un euro, la lotta.

Vediamo dove fa lezione il professore che cerco, ma non ho voglia di leggerlo in quell’elenco infinito appeso al vetro, Mimmo tu sai in che aula?!. Ovviamente si. Prima faccio un salto in biblioteca, passo davanti alla Rossa, che se c’è qualcuno dei miei, sicuro è seduto lì fuori. Belli i tempi in cui di tavoli ne dovevamo unire almeno due. Ho un libro in ritardo, di settimane ormai, entro in biblioteca, ci sarà la locandina con la mia faccia e sopra la scritta Wanted, vivo o morto, ma con il libro. Se c’è la Sarda mi fa una menata che non finisce più.
Che sia arrivato il tempo di andarsene è certo. Poche facce conosciute, gente giovane. Ragazze che potrebbero essere figlie mie. Non esageriamo. Poi io che mi faccio sti problemi, che ve lo dico a fare. In giro, ogni tanto, eminenze grigie, il preside che si aggira nei corridoi che mi ricorda Bob Kelso. Chi ha due pollici e se ne frega? Ang……..
Ogni tanto incontro qualche ritardato, pardon, ritardatario, come me. Anche lui al terzo anno più iva. Come va? Cosa ti manca? a te anche mate? Si jack a proposito, quest’equazione cosa ti da? Secondo me una parabola, dico io. Ah si giusto, grande Jack, grande, una parobola…aspetta però, la parbola è quella a forma di culo giusto?

Finisco la lezione che mi interessava, alla quale sono arrivato già alla pausa, col caffè in mano. E il docente, che promette, ma non ci crede nemmeno lui, un’ora di pausa pranzo e poi sono qui. Se dicono così solitamente si rivedono verso il tramonto, sbadigliando. Andrò a mangiare.
A pranzo, la bovisa, da il meglio di se. Via Durando e la parallela come il mercato di Marrakech, ci trovi ogni ben di dio. Un multietnico casino in cui puoi trovare di tutto, ogni genere di leccornia. Dai primi del 125, salve cosa avete oggi? Lasagne, pizzoccheri, polenta e stufato.. grandi, avete anche qualcosa se uno nel pomeriggio vuole continuare a vivere?, al Charlie Brown, il kebabbaro più buono del mondo, che ci aspettava con ansia ogni martedì a pranzo, abitudinari, che gli brillavano gli occhi appena ci palesavamo sulla porta. E scopri che la bovisa ormai è un po’ casa tua quando inizi a chiamarlo per nome, il kebabbaro, e sa già cosa prendi. Ciao Charlie oggi kebab senza… ti interrompe e finisce lui, senza pomodori, tanto piccante, patatine e ketchup. Arrivano. Che figata. Che mica lo so se si chiama Charlie, ma chiamarlo Brown suonava un po’ razzista. Ogni giorno apre un negozio etnico nuovo. Chissà com’è il persiano nuovo che non ho mai provato, un giorni ci entrerò. Bounjour je m’apelle Ponchia… secondo me è speziato, non cattivo, speziato. Male che vada ci si butta in piadineria, che magari ci scappa una partita di calcetto mentre aspettiamo che si sciolga lo squacquerone. O si va dalle unte, panetteria dove fanno pizze, focacce e quant’altro. Che solo a pensarci, pure i ricordi sono cosparsi d’olio, e ti scivolano dalle mani. Unti, tanto. Tutti.

Prendi take away che ci buttiamo sul prato a mangiare e ad osservare la gente,  che se la studi un po’ capisci subito che facoltà fanno. Quella fa design della moda, e ce l’ha solo lei, quello architettura c’ha gli occhiali da Le Corbusier. E poi, si scorgono, le frotte di ingegneri, che accorrono, a primavera, la stagione delle scollature e delle gambe lisce, come orsi attirati dal miele. Affamati di cibo, e di gnocca, scommetto più di gnocca, comprensibilmente. Arrivano in gruppo, sei, otto, quindici, solo uomini. Che sembrano stiano andando a fare l’apericena in spiaggia a Milano Marittima da tanto sono carichi, salvo poi avvicinarti e scoprire che parlano di integrali. Caffè alla rossa, “CIAO DIMMI?!” e magari anche un magnum alle mandorle, si ma ci sediamo fuori.
Non c’è nemmeno posto, ma la voglia di sedermi è così grande che andrei al protoshop  e comprare un paio di chili di alveolare per fare una poltroncina. Anche perché se mi siedo sul prato va a finire che dormo e c’è da far meccanica oggi, o almeno ci si prova. La concentrazione latita e si sa che, in meccanica, per farla bene, non ti puoi perdere nemmeno un ”momento” .

Arriva la sera, e con lei, ad accompagnarla, il degregoriano sole sui tetti dei palazzi in costruzione. Chiude tardi la bovisa, ma non ne rimane tanta gente. Come un meraviglioso teatro, che ogni mattina riapre, con gli stessi attori. O meglio, tu vedi sempre quelli, perché la bovisa è magica, su cinquemila persone cascasse il mondo, incontri in giro sempre le solite cinquanta. C’è una ragazza che per un anno incontravo a prender il caffè alla macchinette, ogni volta, sempre lei, a qualsiasi ora o macchinetta. E ci si sorride, perché si pensa, ma dai ma ancora tu?! Cala il sipario, e rimane Mimmo a tirar su i pop corn che son caduti per terra. Qualche attore che esce dal camerino, stanco, provato, sudato, che la giornata è finita, ma la notte ancora deve cominciare, noi della bovisa lo sappiamo bene. Tubi di tavole in spalla e modellini, accrocchiati, precari, che hanno già paura di non sopravvivere al viaggio in treno, i modellini. Io dalla mia, al massimo mi concedo uno spritz ancora, e poi si va via. A correre per prendere il passante, che devi correre per forza, al passante, se no le scale con la pedata dieci volte più lunga dell’alzata cosa l’hanno fatta a fare?!. E mi ricordo, che lo spettacolo finiva sempre così, Rogoredo Domodossola e arrivo che è già buio, distrutto, ma contento. Arrivo che già ci ripenso. Come cresci bovisa, e come cambi, a vista d’occhio, ma certe cose non cambiano, non mutano, rimangono uguali, almeno per me. C’è da dire che mi mancherai davvero… cara bovisa…

Nessun commento:

Posta un commento

Cosa ne pensi?