martedì 11 febbraio 2014

Non ci basta mai



Il 6 febbraio 2013 non è una data importante, non rimarrà negli annali e non è successo nulla che il mondo ricorderà.
Tuttavia, il 6 gennaio 2013, un anno e qualche giorno fa, lo ricorderò come il giorno del primo post di questo blog.

Compilando le pratiche erasmus mi sono imbattuto in diversi book di miei colleghi coetanei stranieri, e nei loro curriculum vitae.
I curriculum vitae di certi ragazzi tedeschi, svedesi o canadesi sono assolutamente incredibili. Stage negli studi migliori al mondo, in alcuni casi anche pagati, workshop di ogni genere, almeno due lingue straniere conosciute, tra cui alcuni addirittura il russo o il cinese. Leggendo la loro presentazione si scorgono ragazzi e ragazze preparatissimi, che sanno cosa vogliono e cosa stanno facendo, creati, sembrerebbe, appositamente per diventare architetti sensazionali, dal sicuro futuro, già scritto, che inesorabilmente li sta aspettando. Sanno usare perfettamente il disegno manuale e quello a pc e molti di loro conoscono due o tre programmi di render, e in alcuni casi è l’università stessa ad insegnarglieli all’interno del programma di studi. Le vacanze estive le hanno passate a lavorare in studi affermati o hanno partecipato a qualche concorso.
Sono bravi, bravissimi. Preparati, colti e motivati.
Poi è arrivata la volta di compilare il mio di curriculum vitae e le cose da scrivere erano un po’ diverse.

Ho iniziato a lavorare per tirare su due soldi per pagarmi le vacanze appena compiuti i 18 anni, facevo il cameriere in un bar di Angera, i weekend, venerdì e sabato sera, qualche domenica, e poi l’estate tutta. Mi pagavano un po’ a soldi e un po’ a birre, che io e i miei amici consumavamo di notte dopo che il bar chiudeva. Tre o quattro diciottenni ubriachi a guadare il lago, magari ci scappava anche un bagno, a parlare di quello che volevamo diventare, fascino per la notte, per i viaggi, per il mondo che iniziavamo a scoprire. Lavoravamo un po’ tutti, c’era chi faceva il giardiniere, chi spalava merda di cavallo nelle stalle, chi ristrutturava casa sua, e c’era chi come Ziopera che faceva il pizzaiolo, nel locale della sorella della mia capa. Capitava delle volte che al bar ordinavamo le pizze da loro per cena, quando succedeva mandavo un messaggio a Zioepera con una parola segreta, e la margherita che io avevo umilmente ordinato alla mia capa diventava una bufala e code di gambero più carica di un marine durante un commando.
Continuai a fare il cameriere anche quando iniziai architettura, ma sempre meno, fino a quando, sul finire del secondo anno, appesi definitivamente il grembiule al chiodo. Era arrivato il tempo di cambiare lavoro, perché qualcosa bisognava comunque fare, ma mi ero messo in testa di cercare qualcosa di nuovo, altri stimoli e mentre cercavo intanto imbiancavo tutta casa, così da non avere imbianchini in giro e poi era sempre un lavoro nuovo che imparavo.
Mandare domande negli studi era tempo perso, e poi non ci prendiamo in giro, non sono nemmeno sicuro che fosse quello che volevo.
Era una sera d’inizio luglio, qualche settimana dopo il concerto di Springsteen, quando mi offrirono il lavoro in Charis. Abbiamo un progetto di igiene urbana in cui è presente una parte di comunicazione, grafica e la gestione di un sito internet, ti può interessare?. Non esitai un attimo. Iniziò una delle esperienze più ricche che abbia mai avuto la fortuna di trovare.
Certo, non tutto fu così lineare. Ad oggi alcune cose non sono state terminate e il sito internet persiste ad essere un entità misteriosa, ma se alcune cose sono ancora in corso, ce ne sono state altre terminate con successo e molte sono state le soddisfazioni tolte. Le mie mansioni si svilupparono verso fronti assolutamente sconosciuti fino a quel momento, come spalare la neve durante le notti del marzo scorso, o tenere una conferenza sull’imprenditoria giovanile e il ruolo dei giovani nel mondo del lavoro, io che, mi pare lampante, sono palesemente un guru dell’imprenditoria italiana. Ricordo che preparai il discorso tre ore prima della conferenza, con il mio capo, raccontando la mia esperienza come se la dovessi raccontare ai miei fratelli, con tanti buoni consigli che trasudavano freschezza ed un pizzico di ingenuità. Funzionò in pieno. Mi hanno invitato anche quest’anno.
Fino ad arrivare ad improvvisarmi tecnico immobiliare e condurre sopralluoghi nelle sedi della Ubi banca della provincia di Varese per stimare il valore degli immobili per un’agenzia di Milano. Usai questo lavoro come pretesto per imparare le strade della provincia, stupendomi dei sorprendenti collegamenti tra posti che avrei pensato essere completamente da un'altra parte. Mi presentai al colloquio in giacca e cravatta, furono molto sorpresi e colpiti, ignoravano il fatto che mi fossi vestito così perché dopo il colloquio dovevo partire direttamente per Trieste per seguire una conferenza di luminari scientifici, non mi ero agghindato così per loro, presi due piccioni con una fava.

Tutto questo per dire che c’è un enorme differenza tra il mio curriculum e quello di molti miei coetanei, sicuramente più preparati ed adeguati di me a svolgere la professione, ma sinceramente, ne me ne vergogno e nemmeno cambierei qualcosa. Sono fermamente convinto che le esperienze che ho fatto abbiano sviluppato in me la capacità di cavarmela davvero in una marea di situazioni lavorative, mi hanno insegnato un modo di risolvere i problemi, una prospettiva diversa per guardare le cose da poter spendere in mille modi nel mio futuro. Forse sarò un architetto tutto sommato mediocre, ma sono anche convinto che avrò sempre un lavoro da fare e qualcosa con cui portare a casa due soldi, e questa caratteristica, questa complessità di preparazione la reputo una delle qualità migliori di noi italiani. Noi italiani abbiamo un’attitudine alla complessità di sguardo e di mansioni, non siamo settoriali, sappiamo  un po’ di tutto, e in questo, io, mi sento tremendamente italiano, perché so davvero un po’ di tante cose, ma niente nello specifico. Sono un eterno profano, tanto che delle volte mi chiedo se baratterei il sapere fare non benissimo tante cose, con l’essere il migliore in una sola. Non mi sono ancora dato una risposta.
Non credo che riuscirò a fare lo stesso lavoro per tutta la vita, non mi vedo architetto per sempre, anche se per un po’ si, perché tra un lavoro e l’altro comunque una laurea me la sono presa, ed ho pure iniziato un blog, questo qui, poco più di un anno fa, come dicevo, che è esattamente in linea con tutto quello che ho fatto finora. Non è autorevole, non è quasi mai preciso. Non tratta di argomenti come politica o religione, tranne che in casi singolarissimi. Non pretende ne d’insegnare ne di fare letteratura. Non si espone quasi mai e non è per nulla esente da errori di ortografia. Questo blog parla di una marea di cose ma di nessuna con precisione, ha una marea d’interessi ma nessuno che prevale, ma forse, ha il pregio, lui come me, di mettercela tutta per dire e fare qualcosa e non cerca di arrivarci seguendo la strada semplice, ma cerca di barcamenarsi tra gli scogli e le vie sterrate, scivolando spesso, ma continuando a scappare dalla routine e dall’abitudine che, sa benissimo, potrebbe ucciderlo alla minima distrazione.
Quindi, anche se dopo qualche giorno, tipicamente in ritardo, continuando sulla strada maestra dell’imperfezione e dell’errore, spengo una candelina per il blog, esprimendo un desiderio, anche se mi pare chiaro che a certa gente, e a certi blog, un desiderio solo non basta mai.


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