mercoledì 14 gennaio 2015

Fuori programma





Mi beccate in un ormai insolito momento di confessioni, in un attimo di pausa tra gli esami da fare e gli esami di coscienza. Anche se per una volta non ho voglia di bilanci ne di elenchi in cui provo a ricordarmi tutte quelle cose che siamo portati a riconoscere come “fatti importanti”. Sarebbe estremamente triste, povero e limitante. E di notte è vietato essere tristi e limitanti, poveri invece, delle volte è concesso.
E non starò nemmeno qui a sorseggiare con voi ricordi di cui alcuni che stanno leggendo sono stati imprescindibili protagonisti.  Mi va di scrivere e basta.
Compio 25 anni con poche certezze e un sacco pieno di desideri, che quelli poi sono l’unica cosa che ti tengono in vita. Le certezze sono poche, come dicevo, ma ben radicate: l’inter mi farà soffrire finchè campo, le donne a capirle proprio non ci riesco, una canzone di Springsteen e qualche amico sono in grado di far guarire qualsiasi malattia, soprattutto quelle cardiache. E forse questa è la cosa migliore che ho imparato in un quarto di secolo, a provare a curarle le malattie cardiache. Innamorarmi è stata l’esperienza più intensa e dolorosa che abbia mai fatto, e la consiglierei a chiunque mi chiedesse se ne vale la pena. Vale sempre la pena. Ed il dolore arriva con qualsiasi privazione, non solo con quelle amorose, l’ho scoperto a fine luglio, e non si è mai abbastanza pronti. Mi costa parecchio oggi compiere 25 anni, un caro amico mi ha detto che da qui in poi non si avrà più voglia di festeggiare un cazzo. Le cifre tonde sono sempre un poco stronze in effetti, e se le star muoiono a 27 anni un motivo ci deve pur essere. Se fossi un pessimista direi che da qui in avanti iniziano le rotture di coglioni, le scelte da fare, a cui subito dopo si sommeranno tutte le rinunce che la vita porta a fare. Nient’altro. Però le scelte una cosa bella ce l’hanno, cioè che sono sempre giuste, perché mica puoi sapere cosa sarebbe successo altrimenti. in fondo pessimista non lo sono mai stato. Di propositi non me ne voglio più fare, che non servono mai ad un cazzo se non a sentirsi inadeguato da qui ad un mese. L’unico forse è quello di seguire di più l’istinto, che non mente mai, anche se delle volte ti porta a sguazzare nelle fogne che fino a quel momento hai evitato con cura meticolosa. Ma l’istinto spesso ti imprigiona anche in un vortice in cui non è possibile uscire, fatto solo delle cose di cui abbiamo bisogno. E’ come se ci spinga quando non abbiamo più il coraggio di volerci bene. Come quando strappa i tendini per far sgorgare fuori le parole che ti usano per uscire da chissà dove. O ti fa prendere una macchina fino ad una spiaggia in cui ti senti lontano da casa, a vedere l’orizzonte che cerchi, perché mica sono tutti uguali gli orizzonti. O ti fa fare un tatuaggio con la copertina di un album che nemmeno ami. O ti fa stare tutta la notte a fare l’amore rinunciando a tutte le mattine che ti restano pur di non farla finire.
Mi regalo questo post, scritto esattamente il tempo della sigaretta che mi sono acceso e che ora è finita. Ed ora che è spenta me ne starò qui a disegnare meravigliosi futuri con la cenere, la sua, e di questo primo quarto di secolo che si è bruciato via in modo così bello ed intenso.
Un caro saluto.


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