giovedì 15 maggio 2014

Sulle spalle il numero 4



La mia seconda partita allo stadio la ricordo distintamente. Anzi, a dirla tutta, la partita non me la ricordo per niente, quello che in realtà ricordo bene sono i momenti prima di salire sulla gradinata di San Siro.
Mi portò mio padre, insieme ad un gruppo di altri amici, uno dei quali aveva i pass per entrare nell’area stampa vicino agli spogliatoi. Mancava poco all’inizio della gara e la stanza era affollata da piccoli gruppi di giornalisti che intervistavano i giocatori che quella domenica avrebbero guardato la partita dagli spalti perché squalificati. C’era Benoit  Cauet, francese dalla chioma bionda fluente. C’era Ivan Zamorano, cileno anch’esso dalla chioma folta, mora lui, nero come tutti i sudamericani. E poi c’era un terzino arrivato tre anni prima dall’Argentina con un sacchetto di plastica e solo due giornalisti ad accoglierlo all’aeroporto, pettinatura  con riga, diventata, col tempo, uno dei suoi marchi di fabbrica. Il suo nome era Javier Aldemar Zanetti, detto "el tractor". Un atleta tutto nervi, scarno, che aveva rischiato di lasciare il mondo del calcio perché troppo magro, non aveva fisico dicevano, col tempo ha dimostrato di essere un atleta d’acciaio, che ad agosto tornava in forma semplicemente scendendo la scaletta dell’aereo di corsa.

Da allora, caro capitano, di cose ne sono cambiate, tante quanti i chilometri che hai percorso su quella fascia destra.
Mentre tu diventavi capitano io diventavo grande. Mentre tu macinavi chilometri il mondo e il calcio intorno a te cambiavano e molti dei miti che lo hanno affollato appendevano le scarpe al chiodo. E’ arrivato anche il tuo momento.
Perché oggi, capitano, se ne va un altro pezzo del calcio quello bello, quello che ti faceva appassionare e sentire appartenente a qualcosa. Il calcio quello dei veri giocatori come Del Piero e Maldini. Il calcio delle bandiere. 
Il calcio dove gli avversari hanno onore e per loro bisogna portare più rispetto che per noi stessi. Il calcio che era un po’ più sport, quello delle luci a San Siro e dove un vero giocatore lo vedevi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia.
Il calcio leggenda, che forse non tornerà più.
Hai salutato il calcio mentre io ero su un aereo che tornava da Amsterdam, anche se il mio cuore era dentro il Meazza, appena tornato a casa ho guardato il video del tuo saluto, sguardo e voce ferma nonostante qualche singhiozzo.
Caro capitano, sei stato più che un giocatore, questo lo sai. Sei stato uno dei veri signori di questo sport, un uomo integro ed un avversario onesto.
Sei stato imprendibile, là sulla fascia.
Sei stato commovente delle volte, quando più nessuno sapeva cosa fare e tu correvi lo stesso.
Sei stato l’unico atleta di cui ho avuto il poster in camera.
Sei stato un uomo d’acciaio, ma con tenerezza.
Lasci il calcio giocato a 41 anni, più di 800 presenze, belle vittorie, parecchie sconfitte ed uno svariato numero di record personali, anche se queste cose poco importano. 
Lasci il calcio giocato e mancherai a tutti quanti.
Ora che finisce ufficialmente un’era, ricorderò sempre com’eri in campo, gol pochi e chilometri tanti. Che poi è quello che mi hai insegnato, cioè che molte volte, per essere i più grandi, non serve fare più goal, serve solo correre senza arrendersi mai.
Ciao capitano, grazie di tutto.




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