martedì 12 novembre 2013

La Maschera del Mare



Così soltanto all’orizzonte
scorgi l’orlo turchino del mare.
A destra e a sinistra è una distesa
tutta abitata e popolosa.

Goethe


Le piccole città affacciate sul mare, d’inverno, rimangono disabitate.
I negozi sono chiusi e i ristoranti sono vuoti. Scorgendo all’interno delle vetrate degli alberghi, quelle poche che restano visibili, si notano enormi teli bianchi a coprire divani, banconi, tavoli, sedie e tutti gli arredi. Per le strade le poche persone che si incontrano sono per lo più sfuggenti e timide. Hanno dipinto in faccia il disagio di incontrare uno straniero in questa stagione. Come se non fossero preparati, come guardare una ragazza che si è appena lavata il trucco dopo una serata importante, perché solo quelle veramente belle non hanno vergogna. Gli unici che cercano di socializzare sono i matti del paese. Bere una birra con un matto può condurre di solito a due strade ben distinte, o vi uccide, o vi rivelerà delle verità sulla vita a cui non avevate mai pensato, a conferma del fatto che la saggezza delle volte si nasconde nei posti più impensati.
Anche il mare stesso sembra più selvaggio del solito. Si agita senza ritegno, allo stesso modo di quando si libera un cane normalmente legato al guinzaglio. Il mare che corre e si agita fino alle catene del prossimo maggio. 
Camminare per una città disabitata è come entrare in camera di qualcuno mentre sta dormendo. Si entra in punta di piedi, in silenzio, con la sensazione di violare l’intimità di chi è assopito, arrecandosi il diritto di coglierlo in un momento in cui è indifeso.
C’e una calma surreale nelle città disabitate, come dopo un temporale fortissimo, tutto rimane congelato com’è. Spento.  In attesa.


Capitò una cosa simile quest’estate durante il viaggio in Spagna. Arrivammo a Murcia a metà pomeriggio, piuttosto stanchi e provati per il caldo che, man mano che i giorni passavano e le latitudini scendevano, si faceva sempre più insostenibile. L’obiettivo della meta era quello di goderci in serata il famosissimo festival del flamenco. Famosissimo per davvero, non sono ironico. Notammo appena entrati in città che c’era qualcosa che non andava. La città era disabitata, vuota, chiusa. I negozi chiusi, le serrande abbassate e le uniche forme di vita che abitavano la città erano gatti, matti, e poliziotti. Solo i gatti si riconoscevano nitidamente. Da subito pensammo, ottimisti ed ingenui, che fossero tutti rintanati nelle proprie case per difendersi dal caldo e prepararsi per la grande serata. Quando finalmente ci imbattemmo in qualcuno che non fosse un matto, un poliziotto o un gatto, e cioè una giovane coppia che spingeva un passeggino chiedemmo subito delucidazioni e informazioni sul flamenco. La giovane donna possedeva quella tipica bellezza che fa perdere la testa. La risposta del giovane uomo, quando riuscì ad ascoltarlo, inizialmente ci tranquillizzò: “ah si si il festival del flamenco. Certo che c’è.” 
Ci guardammo sorridendo con quell’espressione tra il sollevato e il “ve l’avevo detto”.
Prosegue poi l’uomo: “ Si ragazzi però non è qui, lo fanno a La Union, ma dubito che troverete un posto per dormire ormai.” 
Panico. Giusto quei duecento chilometri fuori mano. 
Quello che ignoravamo era che Murcia non è solo una città, ma un’intera regione. E che la città vivesse soprattutto per l’università che, come dovrebbe esserci noto visto che sia io che i miei compagni di viaggio la frequentiamo, di norma ad agosto resta chiusa e gli studenti sono in vacanza, altro dato deducibile dal momento che in vacanza ci eravamo pure noi.
Murcia ad agosto non tutti possono dire di averla vista.

Questo perché le città, come tutte le cose, non sono sempre uguali. Non sono sempre bianche o nere, e tutto nasconde qualcosa che rimane sotto la superficie. 
Ma non solo le città hanno un lato B.
Allo stesso modo, delle volte, dentro ogni persona esiste qualcosa che rimane coperto, nascosto e spesso nemmeno lo sappiamo. Dentro di noi c’è sempre di più di quello che crediamo. C’è più coraggio, c’è più cuore, c’è più follia, e analogamente alle città d’inverno tutto questo si manifesta soltanto occasionalmente.
Parlo della vera essenza di ognuno di noi, che si svela delle volte soltanto quando l’estate finisce e passa la folla. Quando ci sentiamo protetti e senza più minacce.
E di solito,  il lato migliore di qualcuno o di qualcosa è proprio quello che rimane nascosto per la maggior parte del tempo, quello che non si svela  a tutti e che va cercato con dedizione ed impegno. Quello che si rivela solamente a chi lo merita. 
Non è facile capire veramente le persone e scoprire quello che celano con cura dietro una maschera decisamente più comoda, e non lo dico con spirito critico, succede e basta. Succede anche a me. Amiamo tutti girare con gli occhiali da sole per coprire gli occhi tristi in una brutta giornata, anche se il cielo è nuvoloso. La verità è che rimanere all’interno di binari ben definiti è molto più semplice che andare contro la corrente. Celarsi è più facile che rivelarsi. Far venir fuori la vera parte di noi stessi, ammesso che uno sia in grado di controllarla presuppone una quantità di rischio che non sempre si ha voglia di sobbarcarsi. 
La paura di mostrare se stessi.  La paura di essere giudicati, di essere inadeguati. 
Alcuni sembra davvero che riusciranno a nasconderla per sempre la loro parte migliore. 

Ecco perché amo il mare d’inverno. Perché mi da speranza che esista quel momento nella vita delle persone in cui ci si riesca a disfare delle maschere ed indagare quello che sta sotto la superficie. A tirarlo fuori selvaggio come il mare senza più catene. 
Mi fa pensare che finalmente possa arrivare uno di quei rari momenti in cui una persona che crediamo di conoscere bene mostri una parte di sé che ignoravamo e in questo modo ci sorprenda.
Sono quei rari spettacoli che la natura o le persona ogni tanto ci concedono.
E’ come vedere il dietro le quinte di uno spettacolo. Un fiocco di neve ad agosto. Una lacrima di dolore sul viso di un attore comico. Due mani che si stringono e due sorrisi che si accennano, senza dire una parola.


Si ringrazia "Il Corriere Contromano, Dargen D'amico, Vivere Aiuta a Non Morire" 
(non sono riuscito a linkarla)

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